Certificazione e segherie cooperative: Coldiretti lavora per ricostruire la filiera del legno

Certificazione e segherie cooperative: Coldiretti lavora per ricostruire la filiera del legno

Se Vaia ha avuto un pregio, è quello di aver riportato l’attenzione sul legno. Non solo distruzione, quindi. Come dimostra la riapertura della segheria a Cordevole di Val Visdende, riattivata dalle Regole dopo oltre un decennio di chiusura. 

Un primo passo. E Coldiretti vuole muovere presto anche gli altri. I passi che portano dritto alla ricostruzione della filiera del legno, quella che garantire vivibilità e sviluppo alla montagna.

«Un plauso alle Regole di San Pietro di Cadore per il coraggio di riaprire un impianto fermo da anni ma che rappresenta prima di tutto uno stimolo per l’intera filiera forestale bellunese» la premessa di Alessandro De Rocco, presidente di Coldiretti Belluno. «Un messaggio importante che sarà di modello per altre iniziative magari su scala più ampia da realizzare a livello provinciale e regionale». 

Coldiretti già nel 2017 aveva lanciato l’idea di realizzare una segheria di livello provinciale. «La proposta non è cambiata e anche oggi, dopo i danni della tempesta Vaia, dopo i primi attacchi del bostrico, riteniamo indispensabile riorganizzare la filiera, creando le infrastrutture necessarie – continua De Rocco -. L’economia forestale bellunese oggi è di tipo “coloniale”: esporta materie prime grezze (tronchi) e importa semilavorati e prodotti finiti (tavolame, pannelli, travi, travi lamellari, pellet). Gran parte del valore aggiunto della filiera foresta-legno non resta in loco ma va ad arricchire altri territori vicini come la pianura, o lontani come l’Austria».

Eccola allora la ricetta di Coldiretti. Per punti. Primo: superare il frazionamento che impedisce una gestione razionale e una valorizzazione competitiva delle risorse legnose. La soluzione c’è già: i consorzi forestali. 

Secondo: «Nelle filiere foresta-legno che vogliano valorizzare i boschi locali, le segherie sono l’anello centrale» dice De Rocco. «Se mancano le segherie, le ditte boschive sono costrette a vendere i tronchi a soggetti che li trasformeranno lontano dal territorio d’origine, trascinando con sé tutte le prime e seconde lavorazioni del legno. Di fronte a questa situazione la soluzione c’è, si chiama “segheria di sistema”: una segheria realizzata e gestita in forma “cooperativa” da tutti gli attori della filiera». Il modello è quello delle latterie, già attivo in provincia.

Terzo: «Per poter dare un nome al legno dobbiamo però creare un meccanismo che ci permetta di risalire dal prodotto alla fonte della materia prima, al bosco da cui proviene» spiegano da Coldiretti. «Questo è oggi reso possibile dalla certificazione forestale che, attraverso i due grandi schemi presenti in Italia (PEFC) crea una catena di custodia che accompagna ogni partita di legname dal bosco in cui è stato prodotto secondo i principi della gestione forestale sostenibile fino alle mani di chi acquista il prodotto finiti».

E quarto, il marchio: «Dopo la certificazione sarà necessario creare un marchio che identifichi il legname certificato» conclude De Rocco. «Vogliamo chiamarlo bellunese, comeliano o agordino? Non importa. Importa solo che sia distintivo e che rappresenti la sua provenienza e le sue caratteristiche con la “supervisione” della certificazione di sostenibilità». 

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