Bostrico, è allarme rosso. La situazione è fuori controllo

Bostrico, è allarme rosso. La situazione è fuori controllo

Prepariamoci. Tra meno di dieci anni i boschi così come li conosciamo non esisteranno probabilmente più. Niente più abeti rossi, probabilmente anche meno larici. Tutta colpa del “bostrico dell’abete rosso” (nome scientifico “Ips typographus”), il piccolo parassita della famiglia dei coleotteri che attacca gli abeti rossi. Colpisce le piante più deboli, in sofferenza, le colonizza e si nutre dei tessuti sottocorticali, che conducono la linfa dalle radici alle foglie. In poche settimane l’albero muore.

L’infestazione del bostrico ha cominciato a correre nel post – Vaia, grazie alle migliaia di metri cubi di alberi abbattuti e rimasti sul terreno. Ma se la situazione si poteva considerare “seria” fino a qualche mese fa, l’estate ha fatto letteralmente esplodere il problema.

«Nel solo periodo che va da metà luglio ad oggi – spiega Valerio Finozzi, tecnico dell’Unità organizzativa fitosanitario della Regione Veneto, che assieme all’università di Padova e a Veneto Agricoltura studia la diffusione dell’epidemia e le soluzioni per arginarla – abbiamo censito 400 nuovi siti boschivi attaccati dal bostrico. E i monitoraggi fatti, pur con dati non ancora ufficiali, indicano una cattura media di parassiti per trappola installata di 1,5 – 2 volte superiore al 2020». Che pure era stato un anno record.

Un dato più che preoccupante, dieci volte superiore alle nuove infestazioni rilevate, nello stesso periodo, nell’area dell’altopiano di Asiago, in Trentino e in Friuli, le altre aree pesantemente colpite da Vaia.

Quali sono le cause? Principalmente una. I tronchi lasciati a terra e mai esboscati. «Ad Asiago – spiega Finozzi – dopo la tempesta è stato esboscato buona parte del legname schiantato, circa l’80%. Questo ha permesso di limitare il proliferare del bostrico». Nel Bellunese, invece, alla oggettiva difficoltà di intervenire su versanti complessi e di difficile accesso, si è unita la scelta di privilegiare la tenuta dei versanti contro il rischio valanghivo. «Una decisione probabilmente ineluttabile – spiega Finozzi – ma che ha la controindicazione di aver accelerato il processo di proliferazione del parassita».

Che si nutre del legno a terra per riprodursi e poi attaccare le piante ancora in piedi. Quando l’attacco diventa visibile e la pianta si secca, è già troppo tardi: il parassita ha già cominciato ad attaccare le piante vicine, che appaiono però ancora verdi.
«Riconoscere i segni di un attacco su una pianta ancora apparentemente sana richiede un occhio esperto – continua Finozzi – e non è sempre facile nemmeno ai tecnici più preparati». Ora, in autunno, la seconda generazione (il bostrico ne fa due all’anno) del piccolo parassita è già presente nelle piante che appaiono ancora verdi, al margine delle aree già arrossate. E lì le larve sverneranno, in attesa di maturare a primavera. Sarebbe questo il momento in cui intervenire per arginare il problema.

Già, ma è un’utopia: «Servirebbero tanti soldi, mezzi e moltissimi uomini, a centinaia – ammette Finozzi – per tagliare tutte le piante già attaccate e creare così delle aree cuscinetto. Chiaramente parliamo di un progetto non fattibile a breve, non ci sono nemmeno ditte private abbastanza attrezzate. E poi dobbiamo sempre fare i conti con l’inverno».

(1- continua…)

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