Apicoltore: la storia del rapporto fra l’uomo e un insetto straordinario

Apicoltore: la storia del rapporto fra l’uomo e un insetto straordinario

Conoscere il mondo delle api: dalla A alla Z. Anzi, “Dalla A alla bzzzzz”. Prosegue il nostro alfabeto “apistico”, curato da Claudio Mioranza 

A come APICOLTORE: la figure di allevatore delle api nasce dalla storia di un rapporto intenso fra l’uomo e questo insetto straordinario. Il cacciatore homo sapiens scoprì un’importante fonte di cibo nei favi di miele delle api selvatiche, raffigurando questa predazione in una grotta della Spagna: parliamo di 9000 anni fa (Mesolitico). Per un prima e rudimentale apicoltura dobbiamo risalire al 3000 a.C., quando gli Egizi, raccogliendo gli sciami selvatici, cominciarono ad allevare le api in arnie di argilla o paglia, praticando il nomadismo (lo spostamento delle arnie) lungo il corso del Nilo per seguire le varie fioriture. Veniva quindi raccolto il miele, a cui era conferita un’origine divina: era il cibo degli dei, prodotto degli arcobaleni e delle stelle. Anche perché la propoli veniva utilizzata per l’imbalsamazione delle mummie. 

Greci e Romani seppero poi carpire dagli Egizi i segreti di questa forma di allevamento e la fecero loro, migliorandola e studiando per la prima volta la società e il comportamento degli insetti. Se la cera veniva usata nel primo “tablet” – tavoletta di legno utilizzata per scrivere con bastoncino di legno – fu il miele il prodotto principale dell’epoca, essendo l’unico dolcificante conosciuto. Veniva utilizzato nei cibi, ma soprattutto per addolcire o meglio ammorbidire il vino. E tale importanza rimase fino a quando, con le Crociate, si cominciò a conoscere il primo zucchero derivato dalla canna di zucchero e a coltivarlo nell’area mediterranea. 

Ma il miele continuò a essere prodotto e apprezzato nell’antichità anche come medicina per vari rimedi naturali o semplicemente sopra le ferite per aiutare la cicatrizzazione. Ulteriori sviluppi avvennero durante il Medioevo ad opera dei monaci, grandi studiosi e allevatori di api in tronchi di legno cavi (detti bugni): un’apicoltura che però prevedeva l’apicidio, ovvero l’uccisione della famiglia di api per poter poi prelevare dal bugno i favi di cera e contenenti il miele per estrarlo tramite torchiatura. Una pratica crudele. ma compensata dalla grande abbondanza di sciami in primavera che venivano raccolti per ripopolare i bugni vuoti. Non dimentichiamo, inoltre, la cera utilizzata allora nella fabbricazione delle candele per illuminare le numerose chiese sparse nel mondo cristiano.

L’apicidio ebbe termine nel 1800 circa quando il reverendo Langstroth cominciò a far costruire alle api i favi su telaini mobili e, con la sua arnia razionale in legno, seppe far evolvere l’allevamento, migliorandolo in vari aspetti. 

Se da una parte l’apicoltura al giorno d’oggi è diventata molto più specializzata e spinta con forme intensive di allevamento e produzione, purtroppo dobbiamo riscontrare un generale indebolimento della grande famiglia delle api: la causa? L’uomo, con la sua agricoltura intensiva e i pesticidi, ha stravolto il territorio e la sua fertilità, ha impoverito le fioriture (cibo fondamentale per le api) e portato nuove malattie agli api, soprattutto attraverso l’inquinamento dovuto agli attuali cambiamenti climatici. 

Ma non tutto è perduto: esistono nicchie di territorio poco antropizzato come la provincia di Belluno, dove spicca una ricca biodiversità. Grazie ai nostri boschi e prati, molti apicoltori “hobbisti” allevano con rispetto e amore le proprie api, restituendole il loro status e la vitalità di insetto selvatico quasi… addomesticato.

Buona “Api… cultura” a tutti e arrivederci alla prossima lettera  

Claudio Mioranza – Apicoltore dolomitico

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