«Un terzo della produzione resterà invenduto». Crisi nera per l’Agnello dell’Alpago

«Un terzo della produzione resterà invenduto». Crisi nera per l’Agnello dell’Alpago

Quest’anno la Pasqua non sarà di risurrezione. Di passione, senza dubbio. E di portafogli vuoti per gli allevatori dell’agnello dell’Alpago che vedono svanire gran parte del loro guadagno. La solennità pasquale, infatti, rappresenta l’evento clou per chi lavora con ovini e caprini; nella conca alpagotta significa il 33% della produzione annua di agnello.

Quest’anno, però, ristoranti e agriturismi saranno chiusi. Crollo della domanda e crisi scontata. Perché i due terzi della carne macellata da qui a metà aprile resteranno invenduti. E per la cooperativa Fardjma saranno settimane difficili. Con i conti da far quadrare in condizioni più che emergenziali. In pratica, sarebbe come se le stazioni invernali e località sciistiche dovessero rinunciare alle festività natalizie; così, d’emblée.

I 24 soci, però, provano anche questa volta ad alzare la testa. E a salvare il salvabile, tendando di allargare il raggio d’azione e “piazzare” il loro prodotto (o almeno una parte) al di fuori dei canali soliti di distribuzione.

«La nostra cooperativa è composta solo da quattro aziende imprenditoriali, i restanti sono hobbisti, come me – spiega Zaccaria Tona, socio della Fardjma -. In totale abbiamo circa 3mila capi, ma la razza è a rischio d’estinzione e per fortuna la Regione e l’Unione Europea ci aiutano con dei contributi per continuare le nostre attività. Sarebbe impossibile altrimenti: basti pensare che il prezzo della carne che produciamo copre solo il 40% dei nostri investimenti». 

I soci della cooperativa alpagotta si sono organizzati già da alcuni anni con un furgone per commercializzare i loro prodotti lungo la linea Cortina-Venezia. E anche questa volta devono rimboccarsi le maniche. «Ora non ci resta che cercare di raggiungere il maggior numero possibile di macellerie venete – continua Tona -. L’unica nostra speranza in questo momento è che i privati consumino le carni che produciamo. Questa situazione innesca una crisi che potrebbe spingere molti a smettere di allevare. Soprattutto gli allevatori che hanno poche bestie. In più dobbiamo anche combattere il lupo, che continua a creare danni enormi». Un dato? Nelle ultime due settimane una sola azienda ha perso 18 capi, predati dal lupo.

L’agnello dell’Alpago stenta a guardare oltre. Il coronavirus è un nemico difficile da contrastare per l’economia. Tanto più per un settore di nicchia come quello della macelleria ovina. Anche perché la prospettiva segnata dagli esperti non è sempre percorribile: gli zootecnici definiscono l’agnello alpagotto una razza di triplice attitudine: vale a dire valida per latte, carne e lana. In realtà… «Il latte non rende assolutamente – dice Tona -. Tanto che fra noi allevatori solamente uno ne produce un po’. Vendiamo anche la lana, ma negli ultimi anni abbiamo avuto diverse difficoltà con le ditte che si occupavano del lavaggio, perché nel Nordest l’ultima ha chiuso tre anni fa e ora la più vicina si trova a Prato». 

«Il mio invito è quindi quello di consumare prodotti locali – conclude Tona -. Per il fatto che sicuramente sono sani e genuini tanto che alcuni, come il nostro agnello, sono tutelati dal presidio Slow Food. Allo stesso tempo aiutiamo anche i nostri “vicini di casa”».

(si ringrazia Giovanni Bianchini per aver confezionato l’articolo)

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