Ci sono due tipi di Dolomiti, è evidente. Quelle scintillanti – trentine e altoatesine, ça va sans dire – montagna per antonomasia di chi cerca resort di lusso e vacanze full optional. E quelle “cenerentola” – bellunesi ovviamente – dove la percentuale di Dolomia e siti Unesco è maggiore, ma obiettivamente mancano marketing ruggente, offerta alberghiera di altissimo livello (eccezion fatta per le località più nobili e vip); dove senza dubbio mancano le risorse che hanno Trento e Bolzano, sia economiche sia umane.
Capita allora che tra le Dolomiti scintillanti, un albergatore – anzi L’albergatore (per antonomasia) – arrivi a snobbare il riconoscimento Unesco. Motivo? Troppa gente, troppi turisti.
Premessa: potrebbe anche esserci un motivo ambientalista, mai porre limiti alla Provvidenza. Ma il turismo è come una tavola imbandita: c’è chi si abbuffa seduto, servito e riverito; e chi invece è costretto a stare a guardare, mangiando solo le briciole.
«Il riconoscimento Unesco fu un errore grave. Non siamo in grado di gestire i flussi di turisti portati da questa “patacca”, non è stato fatto un ragionamento accurato sugli effetti del turismo di massa: quello che vediamo è turismo pornoalpino». Eccola la frase. È di Michil Costa, albergatore della Val Badia, inventore della Maratona dles Dolomites (in foto). Una frase inserita all’interno di un’ampia intervista a Repubblica, uscita qualche giorno fa.
Costa parla di chiusure dei passi, di selezione accurata dei turisti. Ma due numeri aiutano meglio a capire la situazione. L’Alto Adige prima del Covid segnava quasi 25 milioni di presenze turistiche l’anno. Il Trentino invece arrivava a superare di slancio gli 8 milioni. E Belluno, che dopo il riconoscimento Unesco qualche numero in più è riuscita a farlo? Appena 3,7 milioni. Con i soldi dell’autonomia – e 25 milioni di presenze – è molto più facile fare selezione dei turisti. Anche per un albergatore…