Molta prudenza e tecnologia, la via inglese alla ripartenza

Molta prudenza e tecnologia, la via inglese alla ripartenza

Tutto il mondo è paese. Soprattutto nella lotta a Covid – 19. Anche il Regno Unito, all’inizio folgorato dall’idea dell’immunità di gregge lanciata dal premier Boris Johnson, davanti alla crescita esponenziale di contagi e morti (al momento si contano oltre 150.000 casi e più di 20.000 vittime) ha dovuto ricredersi in fretta e optare per il lockdown “all’italiana”.

Con qualche differenza, come spiega Silvia Del Din, agordina doc da qualche anno a Newcastle, dove lavora come ricercatrice alla Newcastle university, al Brain and Movement (BAM) Research Group che si occupa di biomeccanica del movimento. Silvia nel nord dell’Inghilterra ha anche trovato l’amore con Eric, sposato due anni fa. Ora entrambi vivono con relativa serenità la quotidianità un po’ sbilanciata imposta dal coronavirus.

«Ci sono anche delle cose positive, in questa strana condizione. Innanzitutto stiamo bene; e poi stiamo scoprendo il lato solidale e umano delle persone. Una cosa tutt’altro che scontata qui, dove generalmente va forte la riservatezza. Con l’inizio del lockdown, ad esempio, i residenti nella nostra via hanno creato un gruppo whatsapp. E a Pasqua i nostri vicini hanno regalato, casa per casa, un uovo di cioccolato. Un gesto gradito e totalmente inaspettato».

All’inizio dell’epidemia, pur con l’esempio di ciò che stava accadendo in Italia e in altri paesi, il Regno Unito aveva scelto una strada diversa. Tu eri in contatto con amici e parenti che ti riportavano la situazione qui: come hai vissuto quei giorni?

«Ero un po’ presa tra due fuochi. Sentivo la preoccupazione dei miei, ma qui erano ancora tutti estremamente tranquilli. Tanto che ho anche avuto una discussione con mia mamma e mio papà. Sarebbero dovuti venire a trovarci il 9 marzo, io dicevo loro che potevano farlo se non provenivano da una zona rossa (all’epoca non era ancora entrato in vigore il decreto “Chiudi Italia”) ma loro non se la sono sentita. Col senno di poi, hanno fatto bene. E pensare che a gennaio a Newcastle, dove c’è un importante centro sulle Malattie infettive, erano stati portati due pazienti da York, a cui era stato diagnosticato il probabile virus. Al tempo ne parlai con mia madre, ma poi la cosa andò nel dimenticatoio. Gli inglesi hanno una loro strategia nell’affrontare le cose, ma se avessero preso più in considerazione ciò che stava accadendo negli altri paesi avrebbero probabilmente potuto bloccare sul nascere molti contagi».

Poi però le cose sono cambiate.

«Sì, e il governo ha dovuto fare marcia indietro. Anche qui si sono chiusi ristoranti, bar, luoghi di aggregazione, le scuole. Le persone lavorano prevalentemente da casa, anche io e mio marito Eric. C’è da dire che qui lo smart working è una formula usata più diffusamente che in Italia, così come l’abitudine di farsi portare spesa e cibo a domicilio. Siamo ad un lockdown che qui chiamano “di primo livello”: ci sono molte prescrizioni, però abbiamo la possibilità di uscire una volta al giorno per fare attività fisica, senza limite di distanza. Gli inglesi stanno rispettando bene le regole (anche grazie alle comunicazioni precise e chiare) soprattutto per quanto riguarda il social distancing, così il governo non ha dovuto ricorrere al “secondo livello” di chiusura».

Ora come è la situazione?

«Non molto diversa dall’Italia. C’è preoccupazione soprattutto per quanto riguarda gli anziani. Anche qui ci sono stati molti casi di vittime e contagi nelle Case di riposo. Mi ricordo di una mia collega, geriatra, che qualche settimana fa era disperata, le veniva da piangere nel raccontare ciò che stava accadendo e ciò che si aspettavano. Ora le cose per fortuna stanno migliorando, tanto che anche qui si comincia a ragionare sulla ripartenza”

Un tema caldo. In italia il premier Conte ha appena comunicato le tappe della cosiddetta “Fase 2”.

«Qui sono ancora molto cauti, anche per il fatto che Boris Johnson è appena rientrato al lavoro dopo aver combattutto Covid – 19. Ci sono i rischi legati all’economia. Molte persone sono a casa e hanno perso il lavoro; per fortuna il governo ha varato delle misure ad hoc. Chi è senza lavoro può richiedere fino all’80% del salario, una cosa simile alla Cassa integrazione che c’è in Italia, ma con i soldi che vengono erogati subito. C’è un briefing giornaliero dove viene aggiornata la situazione, ogni giovedì alle 8 le persone escono in strada per applaudire medici e infermieri. Sono tutti uniti ma ancora non si sa come evolverà la situazione. Il governo varerà le nuove misure il 7 maggio, ma c’è chi, come la Scozia (che è stata meno colpita dall’epidemia) spinge per ripartire prima. Quello che sembra certo, ascoltando i consulenti sanitari del governo, è che dovremo abituarci al distanziamento sociale per almeno un anno. La speranza è che arrivi presto il vaccino. L’università di Oxford sta per cominciare i test sugli uomini, dopo la sperimentazione sui macachi.».

Al di qua delle Alpi uno dei temi di discussione riguarda la privacy, legata alle app che si stanno per introdurre per mappare i contagi.

«Sarà una delle misure che verrà introdotta anche qui, la stanno già realizzando. Ci sono però già degli strumenti simili, su base volontaria. Io, per esempio, utilizzo un’applicazione per smartphone alla quale segnalo ogni giorno il mio stato di salute. I dati vengono convogliati in un database geolocalizzato, così ogni ospedale ha una mappa aggiornata dei casi potenziali nella sua area di azione».

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