La pietra e la fatica: il lavora dei “molas” e una lezione da tramandare

La pietra e la fatica: il lavora dei “molas” e una lezione da tramandare

 

Nei primi del Novecento era diffuso in provincia – in particolare nella zona di Tisoi, Libano e Bolzano Bellunese – un lavoro pesante, durissimo: quello dei “molas”. In che cosa consisteva, vi chiederete.

I “molas” estraevano la pietra arenaria per la produzione delle “mole” (ruote di pietra per macinare).

Un lavoro di fatica fisica. E parecchi si ammalavano giovani di silicosi.

Le cave bellunesi erano famose ovunque, tant’è vero che la preziosa pietra veniva esportata in Germania, Bosnia e Albania.

La pietra era usata anche per l’affilatura dei coltelli: a Maniago ne facevano gran uso. Inoltre veniva commercializzata con Venezia: le mole caricate a Belluno arrivavano nella città lagunare per essere poi condotte nei porti del Mediterraneo e persino nel Mar Nero.

Armi bianche: spade, pugnali e baionette. Ma anche bisturi da chirurgo.

Gli attrezzi del mestiere? Mani nude, martelli e picconi. Per arrotondare la pietra, si servivano dello “zerzen”, un rudimentale compasso ricavato dall’albero del nocciolo. Ci volevano braccia forti e fisico robusto per alzare le grosse pietre, levigarle, trasportarle.

Sporchi di polvere di silicio, non avevano orari. E le loro donne avevano un importante ruolo: alle 11.30, fuori dalla cava, c’era la fila. Una fila di mogli, sorelle, figlie con il pranzo in mano. Scendevano da Barp e salivano a piedi da Bolago per arrivare alle “buse” di Tisoi. Il pranzo? Polenta e formaggio. Solo dopo la Seconda guerra mondiale, verdura e poco altro.

Una pausa di un’oretta su un pagliericcio e i molas tornavano al lavoro. Capitava che le donne, partite con il pranzo, tornassero poi con un carico di mola sulle spalle. Donne magari rimaste sole perché i mariti erano emigrati. O addirittura vedove a causa di quel lavoro.

Tra i “molas” non mancava la solidarietà: quando qualcuno di loro moriva per silicosi o consumato dal duro lavoro, tutti facevano una colletta. Ognuno, in tempo di miseria nera, dava un chilo di zucchero o un pacco di pasta.

Chi non si ammalava, erano i ragazzi che saltuariamente aiutavano i padri. Ma alla fine si ritrovavano da grandi a fare proprio quel lavoro.

Grandi donne e grandi uomini, che non devono essere dimenticati.

Alla prossima storia di vita!

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