Riceviamo e pubblichiamo la prima parte di un saggio del professor Giovanni Campeol, docente all’Università Iuav di Venezia.
Nella percezione comune per molto tempo si è immaginato che l’Unione Europea fosse un’architettura istituzionale equilibrata, egualitaria, piene di virtù con grande coesione e cooperazione. Non è così.
Come ho cercato di spiegare negli articoli precedenti (Dopo la pandemia, opportunità insperate. L’origine dell’Unione Europea; Moneta unica, comunità economica disomogenea: il vulnus dell’euro), vi sono stati dei vulnera assai gravi nella sua creazione: errori di natura storica, sociale, antropologica e soprattutto politica.
Il tutto condito da un’aspirazione ideologico-culturale che immaginava i popoli europei come un aggregato umano unitario e identitario che naturalmente si sarebbe unito tra baci e abbracci.
Uno storico accreditato come Franco Cardini, nel 2017, si rammaricava che le sue visioni europeiste fossero state un fallimento: «[…] sono stato vittima di un’illusione e, forse, di una frode: troppo tardi ho compreso che quella realtà, nata all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso e faticosamente sviluppatasi come Unione Europea, con tutte le sue complesse, costose istituzioni, non si sarebbe mai trasformata in unità politica. Il suo scopo era un’unità economico-finanziaria (così in “L’Europa: le radici e la storia”. La ricerca maggio 2017, ndr)».
Ma come poteva uno storico non capire (proprio in quanto storico) che un crogiolo di popoli molto diversi e sempre in guerra tra di loro potesse mettersi assieme in modo culturalmente omogeneo, economicamente equilibrato e senza elementi di egemonismo di alcuni Paesi sugli altri? Cioè costruire una “Unione” e non tanto una “Federazione”.
Non c’è dubbio che la frase pronunciata da Metternich al Congresso di Vienna del 1815 nel definire l’Italia (“La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”) sia più adatta a definire l’Unione Europea che effettivamente è un’espressione geografica di popoli molto diversi in quanto senza una lingua comune, una cultura comune, un’economia comune.
L’esperienza dell’epidemia del Covid-19 ha chiaramente messo in evidenza che nell’emergenza sanitaria ogni nazione facente parte della Ue si è comportata a modo proprio e a seconda delle proprie visioni del problema, dimostrando che l’Unione solidale, cooperativa e coordinata non esiste affatto.
Mentre da un lato nella Ue non si manifestano queste condizioni, dall’altro emerge con dirompente forza il consolidarsi dell’asse franco-tedesco che trova formale consacrazione nel secondo trattato di Aquisgrana del 23 gennaio 2019.
In questo trattato vi sono degli accordi che mettono definitivamente fine all’idea di un’Europa “unita” nella quale tutti gli Stati sono “uguali” tra di loro. Non solo ma sancisce anche la pretesa di una supremazia militare franco-tedesca, fatto questo che deve destare grande preoccupazione.
Si ripresenta l’antico e mai sopito obiettivo di ricostruire il Sacro Romano Impero Germanico di Carlo Magno, che in epoca contemporanea si è concretizzato con la Francia di Napoleone, con la Germania di Guglielmo II e di Hitler. Quindi nulla di nuovo (continua…)