Imprenditorialità ammalata. E non è colpa del coronavirus

Imprenditorialità ammalata. E non è colpa del coronavirus

Emorragia economica: continuano a calare le imprese bellunesi. Ma al momento il coronavirus non c’entra. Semmai la pandemia potrebbe accelerare la morte di negozi e attività, aumentando il numero delle serrande abbassate.

Lo dicono i dati della Camera di Commercio. L’analisi della demografia d’impresa in provincia di Belluno parla chiaro: nel primo trimestre 2020 il territorio dolomitico ha perso 150 aziende; il dato si presenta in peggioramento rispetto a quelli dell’ultimo decennio, ad eccezione di quanto successo nel corso del 2018 quando era stato accusato un saldo negativo di maggiore intensità (-204). Ma l’analisi del dato mensile sconfessa qualsiasi correlazione con l’emergenza Covid-19. Il grosso di questo saldo negativo, infatti, matura soprattutto nel mese di gennaio (-119 imprese) e di febbraio (-41). A marzo invece il saldo iscrizioni e cessazioni d’impresa è positivo (+10).

IL DETTAGLIO

La provincia di Belluno si presenta al 31 marzo con uno stock di imprese attive pari a 13.760 unità (-144 rispetto ai dodici mesi precedenti). Il settore più penalizzato è quello del commercio al dettaglio che perde 82 imprese su base annua (-4,5%), facendo registrare la flessione tendenziale assoluta più bassa dell’ultimo decennio. Il manifatturiero (-22 sedi) deve il suo saldo negativo interamente al settore della metalmeccanica. Risultano in diminuzione anche l’agricoltura (-20 imprese), le costruzioni (-17, ma con un saldo negativo in riduzione rispetto agli anni precedenti), i servizi alle persone (-17), mentre si mantiene sulla stazionarietà il settore alloggio e ristorazione (-1 unità). L’unico comparto a evidenziare una variazione annuale positiva è quello dei servizi alle imprese (+27) che deve tuttavia scontare la perdita nel settore trasporti e magazzinaggio (-8). 

LOCKDOWN

La demografia di impresa, in ogni caso, rischia di essere stavolta dal coronavirus. Il primo dato per provare a immaginare il futuro è quello del quadro del lavoro. Vale a dire: chi sta continuando a operare e chi no, alla luce del Dpcm 10 aprile. 

Nel Bellunese, in realtà, il lockdown è quanto mai “soft”. Il 50,4% delle unità locali presenti nel territorio può svolgere le proprie attività; attorno a queste gravita il 66% degli occupati dipendenti in provincia. Dunque su un totale di circa 59.000 dipendenti privati, occupati in imprese o unità locali bellunesi, circa 39.000 oggi sono teoricamente nelle condizioni di essere operativi.

Chiaro l’effetto su questi conteggi di due settori: l’occhialeria, mai fuori lockdown (in base ai codici Ateco); e l’industria del legno, ora reinclusa dal Dpcm 10 aprile fra le attività ammesse: settore che annovera 353 unità locali, attorno alle quali gravitano oltre 1.500 dipendenti. Il manifatturiero bellunese è pertanto fuori lockdown per quasi il 56% delle unità locali, e per quasi il 67% dei dipendenti. I quasi 8.000 addetti “al palo” riguardano principalmente i settori della carpenteria metallica, dell’elettrodomestico e dell’industria dei macchinari (oltre a moda e mobile, che tuttavia incidono poco in provincia).

IL COMMENTO

«Il problema c’era già prima dell’emergenza Covid-19 e il post crisi sarà anche più tragico – sottolinea con amarezza il presidente della Camera di Commercio, Mario Pozza -. Come si può pensare di continuare un’attività d’impresa o di aprirne di nuove se il governo non attua delle specifiche manovre per la riduzione della pressione fiscale, per la facilitazione dell’accesso al credito e non favorisce un’azione dedicata all’export delle piccole imprese? È necessario dare supporto alle imprese con gli avamposti nel mondo che già ci sono: le Camere di Commercio Italiane all’Estero. Mettiamo subito in campo le risorse che creano rete e voglia e fiducia di fare impresa. Inoltre ogni azienda dovrebbe essere inserita in un progetto europeo che le permetta facilmente di accedere alle risorse e alle progettualità per fare innovazione e rinnovare i propri prodotti e servizi. Rendiamo tutto meno burocratico, aiutiamo le imprese a essere competitive».

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