Due mesi di “caldo” in Marmolada, più 3 gradi rispetto alla media

Due mesi di “caldo” in Marmolada, più 3 gradi rispetto alla media

Non è il caso di trovare cause, concause, giustificazioni: quello che è successo in Marmolada merita il silenzio, per rispetto delle vittime e delle famiglie che ancora non hanno notizie certe sui dispersi. Ma i dati che arrivano dalle centraline Arpav di Punta Rocca (a 3.265 metri) sono un fatto, e in quanto tali non c’è possibilità di interpretazioni errate o distorte (fermo restando l’impossibilità di prevedere tragedie come quella avvenuta domenica). 

In Marmolada fa caldo. Punto. Fa più caldo del normale. Ed è così da almeno due mesi, un tempo congruo perché il ghiacciaio risponda come fa qualsiasi massa di ghiaccio sottoposta ad elevate temperature. È il riscaldamento globale, quello che qualcuno continua imperterrito a negare.

I DATI

In realtà c’è ben poco da negare. Arpav ha raccolto e analizzato tutti i dati meteoclimatici della stazione di Punta Rocca. Cosa ne esce? «Che nei mesi di maggio e giugno, durante i quali generalmente si attivano i processi di fusione del ghiacciaio, le temperature medie giornaliere sono risultate significativamente superiori alla media storica, con uno scarto di +3.2°C nei due mesi» fanno sapere gli esperti meteorologi. «Le due decadi più calde rispetto alle medie sono state la seconda decade di maggio (+4.8°C rispetto alla media) e la seconda decade di giugno (+5.4°C rispetto alla media); il trend sembra proseguire anche nei primi giorni di luglio: lo scarto dei valori medi registrati nei primi tre giorni del mese, rispetto al valore medio decadale, è infatti di +4.7°C».

Già così i dati mostrano anomalie piuttosto preoccupanti. Ma sono i valori massimi giornalieri a indicare che nel clima qualcosa si è “rotto”. Perché le temperature registrate a oltre 3.000 metri non rientrano nella definizione di “normale”. «Per ben sette volte si è superato il valore di +10°C, con una punta massima di +13.1°C il giorno 20 giugno – fa sapere Arpav -. Valore che non rappresenta il massimo storico, che dalla serie dei dati disponibili risulta essere pari a +15.7°C, registrato il giorno 20 luglio 1995. Domenica, giorno in cui si è verificato il crollo, la temperatura massima registrata è stata di +10.7°C». 

IL GHIACCIAIO SOFFRE DA TEMPO

«Da un punto di vista glaciologico è necessario sottolineare come crolli di questo tipo risentano in maniera solo parziale delle temperature registrate a livello giornaliero, poiché l’inerzia dei ghiacciai ai cambi di temperature e le risposte in termini di fenomeni di questo tipo, necessitano di tempi lunghi e di persistenza di condizioni sfavorevoli» fa sapere ancora Arpav. «Condizioni, queste, che si stanno verificando ormai da anni». Tra l’altro, gli ultimi due mesi sono risultati più caldi anche del 2003, considerato anno record per il caldo.

LE DIMENSIONI DEL CROLLO

In ogni caso, quanto accaduto domenica è a dir poco spaventoso. Non solo per la tragicità dell’evento, che ha causato un numero di vittime destinato a salire ora dopo oro. Ma per la dimensione del pezzo di ghiacciaio staccatosi dalla montagna.

«Da una prima valutazione speditiva, tratta da foto aeree prese nelle ore immediatamente successive al crollo, comparate con le immagini del catasto ghiacciai di Arpav, che rappresentano la condizione precedente – fanno sapere gli esperti – si stima un fronte del crollo nell’area di distacco di circa 90 metri di lunghezza, per un’altezza massima di 40 metri e per un volume complessivo di materiale crollato stimato in circa 300.000 metri cubi che hanno percorso un dislivello massimo di circa 700 metri, da quota 3.200 metri a quota 2.500 metri circa».

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