Servono connessioni e banda larga, sostiene qualcuno. No: per far vivere la montagna servono strade e servizi. Efficienti, magari. A cominciare dalla sanità. 

La realtà è che la montagna non è tutta uguale. E se non è trentina o altoatesina, i servizi latitano. Senza scomodare i reparti che chiudono, l’elicottero fermo una decina di volte da inizio anno e la carenza di medici. Basta citare qualche “storia di ordinaria sanità”, come l’hanno definita dal Comitato “Un mantello per l’Ospedale San Martino – Indifesa della sanità bellunese” (dove la parola indifesa può essere letta staccato, ma anche tutta attaccata, come aggettivo che ben qualifica gli ospedali bellunesi).

Gli attivisti, da anni attenti al tema, hanno raccolto due esempi e li hanno rilanciati sulla loro pagina Facebook.

Il primo:

* Buongiorno signora.

– Buongiorno a lei.

* Di cosa ha bisogno?

– Dovrei togliere due punti e fare la medicazione.

* Come si chiama e dove abita?

– … … e abito qua a Candide, in Comelico.

* Ma guardi, lei deve andare a Belluno per questa prestazione.

• Scusi? Forse non ho capito bene… Ho quasi 90 anni e abito a 70 chilometri da Belluno. Come ci arrivo? Mia figlia lavora tutto il giorno.

Il secondo:

* Salve.

– Buongiorno, sono … … dovrei fare le medicazioni prescritte al dito.

* Si, lo sappiamo, ma deve farle a Belluno.

– A Belluno? Ma io abito qua in Cadore e sono sempre andato all’ospedale di Pieve per queste prestazioni. Non guido più da qualche anno e devo venire sempre con un passaggio. Come faccio?

* Mi spiace tanto, ma deve andare a Belluno.

– Ma sono 5 medicazioni… per 450 chilometri. Come diavolo si fa?

• Lo so.

Questa è la montagna. Prendere o lasciare. E chiedere a Venezia…