Covid, un anno dopo: «Sorpresi dalla violenza della seconda ondata»

Covid, un anno dopo: «Sorpresi dalla violenza della seconda ondata»

Un anno esatto fa l’Italia conobbe il coronavirus. Il 21 febbraio 2020 a Codogno, in Lombardia, il primo caso accertato. E quasi in contemporanea, all’ospedale di Schiavonia, la prima vittima, Adriano Trevisan, di Vo’ Euganeo. A quel punto fu chiaro, anche a Belluno, che l’arrivo del virus sarebbe stato solo questione di tempo.

Ci vorranno altri sei giorni: il primo tampone positivo a Sars – Cov2, nel Bellunese, verrà alla luce il 27 febbraio. E dopo due settimane, l’11 marzo, la prima vittima: Noris Picelli, 91 anni, di Seren del Grappa. La prima di una tragica sequela: quasi un anno dopo, covid -19 ci ha fatto piangere 568 persone, in gran parte anziani. La provincia di Belluno ha pagato, in percentuale, il prezzo più alto di tutto il Veneto.

«Fin da subito ho capito che sarebbe stato per me e per tutti come correre una maratona – ricorda il commissario straordinario dell’Usl 1, Adriano Rasi Caldogno -. Era fondamentale mantenere lucidità e affrontare un problema alla volta. Tante le notti insonni, le domeniche passate in ufficio, i momenti di tensione da gestire, le emozioni da trasformare in forze positive, gli sfoghi da accogliere».

In dodici mesi non sono mancati i momenti difficili, pur con la dimostrazione di massima flessibilità e capacità di adattamento di tutta la macchina sanitaria. «Penso a quando il contagio ha coinvolto le case di riposo nella prima ondata – prosegue Rasi Caldogno – o il picco della seconda ondata con oltre 200 persone ricoverate e 5 mila positivi in provincia. In certe giornate controllavo il cruscotto aziendale dei ricoveri ogni due ore per essere certo che ci fossero sempre posti letto disponibili. In questo anno non ho mai spento il telefono: ho diverse chat con i miei collaboratori per essere sempre aggiornato sulla situazione».

La provincia di Belluno, già colpita duramente nella prima ondata primaverile, ha pagato un prezzo altissimo nella seconda. «Che in parte ci ha sorpreso per la sua violenza ed è iniziata in provincia prima che altrove, portando una pressione sugli ospedali doppia rispetto alla prima, un volume di lavoro di diagnostica e prevenzione che ha messo a dura prova la tenuta del sistema e ha condotto a sperimentare soluzioni innovative come i drive in vaccinali e gli screening di massa».

Un crescendo ben rappresentato nelle mappe che indicano, mese per mese, l’incidenza a livello territoriale (sottoforma di numero di contagi per Comune ogni mille abitanti). Nella prima ondata, tra marzo e aprile, solamente in un caso di sono raggiunti i 30 casi per mille abitanti. Poi, da settembre, il crescendo rossiniano: a novembre e dicembre buona parte della provincia era colorata di azzurro, blu e viola (i colori che indicano un’alta incidenza di contagi). La mappa completa è visionabile nel documento allegato alla fine dell’articolo.  

Già, ma cosa resta? «A mio giudizio – chiude Rasi Caldogno – la pandemia ha dimostrato l’imprescindibilità della rete tra le varie componenti del Servizio Sanitario e la necessità di rivedere la gerarchia della priorità. La salute è diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, come recita la nostra Costituzione: il Covid ci ha insegnato quanto il singolo può e deve fare per tutelare la sua salute e quella della comunità in cui è inserito».

Resta anche la corsa al vaccino. La campagna di immunizzazione è ripartita in questi giorni, in concomitanza con l’arrivo di nuove dosi di vaccino Pfizer – BioNTech e Moderna. Dal 27 dicembre al 19 febbraio, fa sapere l’Usl 1 Dolomiti, le dosi somministrate sono state 14.096. Un valore che corrisponde a 7 dosi ogni 100 abitanti (contro una media nazionale di 5,3). Le persone che hanno iniziato il percorso vaccinale sono 7.925 ( il 3,94% della popolazione bellunese ). Di queste 6.171 hanno completato il ciclo vaccinale (pari al 77,8% – il 3,07% della popolazione bellunese).

Ma non è ancora finita. Gli indici epidemiologici non scendono come si sperava. Ieri, ad esempio, altri 38 nuovi casi positivi, mentre i ricoveri in ospedale sono 77 (9 in terapia intensiva). La strada è ancora lunga. Rasi Caldogno la mette sulla corsa: «Andiamo avanti, con prudenza ma con fiducia, fino alla prossima curva, come insegnano i grandi maratoneti».

il rapporto su un anno di pandemia realizzato dal Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 1 Dolomiti

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