«Costi insostenibili, lascio la malga». Storia di una montagna costretta a chiudere

«Costi insostenibili, lascio la malga». Storia di una montagna costretta a chiudere

Pochi contributi e pagati sempre in ritardo. Anche di tre anni. Sono i motivi per cui i gestori delle malghe fanno fatica a sopravvivere, sotto il peso di costi sempre più alti e problemi irrisolti come gli assalti del lupo e della fauna selvatica. Giacomo Frigimelica, da 14 anni gestore di Malga Framont ad Agordo (in foto), passerà l’ultima estate in quota con le sue vacche e le sue pecore. Poi abbandonerà quella che è una delle mete più amate dagli appassionati della natura, dell’arrampicata e di formaggi dal sapore unico.

«Mi piange il cuore a lasciare quello che per me è il più bel posto delle Dolomiti, ma è impossibile andare avanti». È un grido disperato quello di Frigimelica, allevatore a Bolzano Bellunese e padre di Giulia, presidente dei giovani di Confagricoltura Belluno, che pure fa l’allevatrice. «Paghiamo al Comune 10.700 euro di affitto per tre mesi, alle dieci di sera non c’è più energia elettrica e andiamo a candele perché ci hanno messo i pannelli con due kilowatt di energia. Avepa, l’agenzia regionale per i pagamenti in agricoltura, ci ha ridotto di un terzo i contributi e da tre anni, inoltre, non vediamo un euro». 

Il punto è che i contributi vengono pagati a ettaro. «Quando abbiamo preso in gestione la malga, gli ettari erano 105. Poi, gradualmente, ce li hanno diminuiti, fino ad arrivare ai 41 odierni – spiega Frigimelica -. Vuol dire che prenderemo quasi un terzo di fondi e che non ce la faremo più a pagare le spese di trasporto, il gasolio e neanche il dipendente che abbiamo sempre avuto. Quindi quest’anno porterò su le bestie per l’ultima volta, poi ridurrò il numero delle vacche e resterò giù a Belluno. Non farò più formaggio, venderò latte e basta».

La vita del malgaro è sempre più dura tra maltempo e aumento della fauna selvatica e dei lupi. Quest’anno la stagione sarebbe dovuta iniziare il 15 giugno, ma partirà in ritardo perché fa ancora freddo: in molte zone di alpeggio c’è ancora la neve e l’erba stenta a crescere. 

«Non vedo bene la situazione per gli amici degli alpeggi – sottolinea Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura Belluno -. I danni da fauna sono in aumento, gli affitti sono alti e il bosco continua ad avanzare. In più, con il freddo, il periodo di alpeggio quest’anno sarà più corto e questo significa che gli animali mangiano a casa e per l’azienda aumentano i costi. Se poi guardiamo dal punto di vista del turismo, se non fa caldo la gente non viene in montagna e quindi tutte le attività connesse all’alpeggio perdono redditività».

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