«Cadorini e agordini non hanno il diritto alla salute»: è la denuncia dei comitati

«Cadorini e agordini non hanno il diritto alla salute»: è la denuncia dei comitati

La sanità non è tutta uguale. «In montagna non è sempre garantita». La denuncia arriva da Guido Trento, presidente del Comitato di salvaguardia degli ospedali di Pieve e di Agordo, da sempre in prima linea.

Trento segna un anno spartiacque: il 2012. «Prima la Regione Veneto aveva a cuore in ambito sanitario due pilastri fondamentali: l’integrazione  dell’ospedale con il suo territorio, e l’integrazione  socio-sanitaria. Un modello che aveva portato il Veneto a essere esempio per altre nazioni. Questo modello prevedeva che l’ospedale – come anche quello di Pieve di Cadore (in foto) o di Agordo – dovesse legarsi al territorio garantendo tutti i servizi salvavita. Analogamente per quanto riguarda i servizi socio-sanitari fondamentali, tanto più per un territorio in cui la popolazione invecchia. Inoltre, in passato era stata riconosciuta la difficoltà insita nei territori di montagna e per questo era stato deciso un surplus di risorse – con un aumento della quota pro capite che da 1.450 euro passava per la montagna a 1.900 – e di posti letto: un posto in più rispetto al resto della regione ogni mille abitanti e 0,5 in più per la riabilitazione. Un differenziale quindi che teneva in giusta considerazione soprattutto le difficoltà logistiche e morfologiche della montagna. Tutto questo ha funzionato bene fino al 2012. A partire da quell’anno si è avuta una rivoluzione, sono spariti i posti in più analogamente al differenziale in termini di risorse».

Dal 2012, secondo Trento, è cominciato anche «un forte impoverimento degli ospedali di Pieve e Agordo, per la concentrazione di molti reparti negli ospedali centrali. La classificazione degli ospedali ha finito poi per distruggere l’integrazione ospedale-territorio. Tutto ciò, secondo me, ha prodotto dei danni  enormi alla popolazione del Cadore e dell’Agordino. Le due strutture che prima erano veri ospedali per acuti, con la perdita di cardiologia e di chirurgia, del laboratorio analisi e del servizio di radiologia ridimensionato, non sono più ospedali salvavita, ma piuttosto ospedali di transizione. Per le terapie d’urgenza non funzionano più e per le terapie tempo-dipendenti la Regione è fuori legge nelle “terre alte”». 

Il riferimento è alla “golden hour” (il tempo massimo entro il quale il paziente deve raggiungere la sede di cura per avere salva la vita in caso di infarti, ictus, traumi interni e simili). «Questa tempistica non si verifica in svariate situazioni per ampi territori cadorini e agordini – continua Guido Trento -. L’intervento dell’elicottero visto come mezzo per un veloce ricovero va considerato solo come un integrativo e non  sostitutivo per la soluzione definitiva, viste le limitazioni che normalmente incidono sul volo. Ora non esistono più a Pieve le unità complesse di cardiologia, chirurgia, con la pediatria e il laboratorio d’analisi perfettamente funzionanti. Questo è un colpo mortale per il Cadore».

La soluzione? «Ripristiniamo i servizi di cardiologia, di chirurgia d’urgenza, del laboratorio d’analisi e della radiologia nei due ospedali, ma facciamoli funzionare in modo dipartimentale» suggerisce Trento. «In altre parole i professionisti che sono a Belluno prestano servizio ogni giorno – compresa la notte e le festività – anche a Pieve e ad Agordo. La soluzione appare di facile attuazione: richiede solo un aumento del numero di professionisti presenti a Belluno, lasciando a Pieve e ad Agordo delle unità operative semplici. In tal modo verrebbe garantito anche il livello dei medici trovandosi gli stessi a operare per situazioni molto diversificate. Per la Regione questa soluzione non ha un costo grande e potrebbe rimettere in funzione l’integrazione fra sanità e territorio. Tra l’altro, potrebbe consentire alla Regione di raggiungere quel rispetto della golden hour senza che interventi del Consiglio di Stato glielo impongano». 

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