Armenia chiama, Belluno risponde. La sarta che insegna a cucire in Nagorno Karabakh

Armenia chiama, Belluno risponde. La sarta che insegna a cucire in Nagorno Karabakh

Quasi 4mila chilometri di distanza. Un piano di volo complicatissimo per arrivarci. Ma la geografia non è mai più forte della solidarietà e della voglia di fare del bene. La prova? Il progetto bellunese che ha preso forma nelle ultime settimane in Nagorno Karabakh, regione dell’altopiano armeno attualmente contesa dall’Azerbaijan. Un luogo di guerra, oggi. Ma anche di grande spiritualità, ricco di monasteri antichissimi. Una regione povera e fuori dai radar dell’attenzione mediatica. È proprio lì che da qualche settimana opera Gigliola Isotton, sarta bellunese in pensione. Insegna alle giovani armene a cucire, a confezionare abiti. Lavoro di mani e di arte. Ma dietro i pezzi di stoffa e la macchina da cucire, c’è molto di più: ci sono emancipazione e riscatto economico, c’è la voglia di ripartire e di dimenticare la distruzione della guerra portata dai soldati azeri.


UN PROGETTO PARTITO DA LONTANO
Gigliola Isotton (nella foto in alto, con la maglia verde) è partita un mese fa, diretta a Stepanakert (capitale dell’autoproclamatasi Repubblica dell’Artsakh). La cittadina è poco più grande di Belluno ed è incastonata su un altipiano a quasi 1.000 metri di quota. Inverni rigidi, primavere da togliere il fiato.
Gigliola ha raccolto macchine da cucire e balle di stoffa fino a riempirsi la casa. Poi ha spedito il tutto, all’indirizzo di un edificio che in questi giorni sta diventando una scuola professionale, dove un falegname milanese insegna i rudimenti della falegnameria; dove alcune parrucchiere insegnano acconciatura ed estetica; e dove Gigliola tiene laboratori di sartoria.
Una storia partita da lontano, ancora nel 2008, quando Donne Impresa Belluno ha ospitato tra le Dolomiti per un mese quattro ragazze armene. Si trattava di uno stage solidale, nato quasi per caso, dall’amicizia con Antonia Arslan e dal comune desiderio di raccontare la storia del genocidio armeno. Da quell’esperienza, con un po’ di formazione e un pizzico di solidarietà, è nato qualcosa. Una piccola Belluno a Panik, paesetto a 200 chilometri dalla capitale armena Erevan. Lì, infatti, dal 2008 è attivo un “Belluno Center”: si chiama così la struttura dove lavorano alcune parrucchiere, alcune estetiste, sarte e addette a un internet point. Sono le ragazze dello stage bellunese, più le loro “allieve”.


LA SCUOLA
«Quella è stata un’esperienza incredibile e siamo sempre rimasti in contatto con le ragazze e soprattutto con Antonia Arslan e il suo staff» spiega Ivana Del Pizzol, che ha seguito fin dall’inizio il progetto con Donne Impresa Belluno. «Cullavamo il sogno di dare vita a una scuola. E un giorno siamo stati chiamati dalla segretaria di Antonia Arslan per concretizzare l’idea».
Il progetto è ambizioso: si tratta di ristrutturare una scuola e soprattutto fare in modo che ci siano più studenti messi nelle condizioni di imparare una professionale. La scuola c’è, ma è messa male. Si trova nella regione del Nagorno Parabak. Una piccola struttura in centro città a Stepanakert. Il progetto di recupero intende far nascere all’interno della scuola un piccolo ristorante, una gelateria, una latteria per la produzione di formaggi locali, un laboratorio di parrucchiera e una sartoria. Solo che arriva l’invasione dei soldati azeri, bombe e distruzione. E tutto ciò che è armeno viene sistematicamente cancellato, compresi i monasteri e le scuole. La missione si ferma. E quando è sul punto di ripartire, ecco il Covid.
«Ma a settembre siamo finalmente ripartiti» spiega Del Pizzol, in contatto quotidiano con la sarta Isotton. «I nostri compagni milanesi più Gigliola sono lì. Stanno facendo formazione e la nostra sarta sta insegnando a una decina di ragazze come si fa a cucire. Mi dice che le sue allieve imparano con una velocità incredibile, perché hanno desiderio di uscire dalla condizione di povertà in cui si trovano».
Insomma, Belluno fa scuola. Anche nelle periferie del mondo.

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