L’obiettivo resta sempre il Natale. Aprire o non aprire le piste durante le festività fa tutta la differenza del mondo. Al momento però mancano due cose: la neve e le condizioni. C’è invece – ed è bella fitta – la nebbia. Non quella atmosferica, ma una nebbia esistenziale: si scierà o no quest’inverno?
Alla domanda potrebbe esserci risposta già oggi. Perché va in Conferenza Stato Regioni il protocollo predisposto dalle associazioni nazionali dei gestori di impianti a fune. Un documento a tutela della salute e delle misure di sicurezza degli utenti, che però potrebbe consentire di avviare seggiovie e ski-lift già per l’8 dicembre, se il prossimo Dpcm ravviserà che ci sono le condizioni. Ecco perché il passaggio di oggi è fondamentale. Se la Conferenza Stato Regioni dice di sì, ci sarà un ulteriore passaggio al Cts e al Ministero della Salute, per l’approvazione finale. A quel punto, le ski aree potranno lavorare, ovviamente nel rispetto delle misure inserite nel protocollo.
Tanti se, tanti dubbi. I tentativi per aprire però proseguono. Anche perché una stagione invernale significa sopravvivenza per molte località. Lavoro e stipendi per centinaia di lavoratori e famiglie direttamente coinvolti nel settore degli impianti. Senza contare l’indotto, popolato di alberghi, maestri di sci, bar, ristoranti, negozi… Si tratta in ogni caso di tentativi che devono fare i conti non solo con il Covid, ma anche con il tempo. Aprire per Natale (il primo clou della stagione; il secondo è quello delle settimane bianche) significa partire con l’innevamento artificiale e con i lavori sugli impianti e sulle piste. Al momento qualcosa è stato fatto, soprattutto nelle località più rinomate, ma il più è fermo. E qualcuno pensa alle alternative. Cortina ad esempio ha predisposto una serie di attività “fuori dagli schemi”: ciaspe, scialpinismo e freeride.
Un italiano su tre non viaggerà più fino a fine pandemia. E le Dolomiti tremano