Mestiere duro quello del pastore. Un lavoro da uomini, si dirà. In realtà è un lavoro per chi ama la montagna e l’ambiente. E anche per chi continua a innamorarsi ogni giorno. È la storia di Graziella Froner, protagonista di “Storie di sviluppo rurale tra presente e futuro” (la docuserie della Regione Veneto dedicata agli agricoltori).
Graziella è diventata pastora per amore. Proprio così. E da 34 anni segue suo marito che, come lei, si occupa di pastorizia. Insieme pascolano circa un migliaio di pecore nei prati di Selva di Cadore, dove hanno preso una malga in affitto. Una zona ideale per le pratiche agricole, i pascoli e il turismo, che senza un lavoro di salvaguardia rischierebbe, però, di andare incontro a deterioramento ambientale. Proprio per questo, la presenza di Graziella e del marito, con la cura dei terreni e dei pascoli, è stata premiata dai fondi del Piano sviluppo rurale: circa 30mila euro di sostegno per mantenere e valorizzare gli ecosistemi montani.
«L’aiuto dei fondi europei ci ha permesso di proseguire nella nostra attività, che altrimenti sarebbe sempre più difficile portare avanti» spiega Graziella, 55 anni, originaria di Pergine Valsugana, socia di Confagricoltura Belluno. In effetti, la vita del pastore non è facile. L’attività della transumanza segue ritmi antichi che mal si conciliano con la frenesia del ventunesimo secolo.
Graziella e il marito vanno in malga in giugno e scendono a valle verso settembre. Poi, per tutto l’inverno e la primavera, portano il gregge in transumanza in pianura, dal Veneto verso il Friuli Venezia Giulia. Una vita difficile, tra gli animali e un camper, il loro rifugio mobile. «Non è facile stare in giro sempre e l’età si fa sentire – racconta Graziella -. D’altra parte la famiglia di mio marito è da sempre nella pastorizia e io, per stargli accanto, continuo a pascolare il gregge. D’estate, in malga, ci raggiungono le nostre due figlie, che d’inverno stanno a casa e studiano, e ci danno una mano».
Vita difficile. Ma indispensabile, soprattutto per chi ha ritmi diversi, per la pianura, per i centri urbani. «Se non ci fossimo noi e altri pastori, i pascoli di Selva sarebbero in abbandono, perché il bosco avanza – continua Graziella -. Le pecore, brucando l’erba, tengono pulita la montagna e i dirupi, così quando arrivano i turisti trovano tutto in ordine. Il mestiere del pastore, però avrebbe bisogno di maggior sostegno».
Sì, perché i 30mila euro arrivati dal Psr aiutano, ma non bastano: i sacrifici sono tanti. E anche i “competitor”, dal lupo alla carne allevata in maniera intensiva in altre zone del mondo.
«Alleviamo animali da carne, ma è un lavoro che rende sempre meno e non ripaga i sacrifici – dice Graziella -. Anche la vendita dell’agnello e del castrato, attività che è una tradizione di famiglia, non è più redditizia come un tempo. A tutto questo, negli ultimi anni, si è aggiunto il problema del lupo, che è un grande pericolo per il nostro gregge. L’estate scorsa ha scavalcato il recinto, di notte, e ha sbranato 25 pecore».