Medici sempre più stufi e la montagna resta senza camici bianchi. «Fermiamo l’esodo»

Medici sempre più stufi e la montagna resta senza camici bianchi. «Fermiamo l’esodo»

«Esodo biblico». È l’espressione usata dal presidente della Fnomceo (la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) per descrivere la situazione del personale del sistema sanitario. E i numeri gli danno ragione. Secondo le ultime stimen, nel 2025 mancheranno circa 50mila medici negli ospedali e 30mila sul territorio. E secondo l’indagine della Cimo-Fesmed, il sindacato dei medici, solo l’11,4% degli intervistati, potendo scegliere, continuerebbe a lavorare in un ospedale pubblico. Eppure, il 72% dei partecipanti, potendo tornare indietro, sceglierebbe ancora di indossare il camice bianco. Ma solo il 28,4% vorrebbe farlo come medico dipendente, in una struttura pubblica. Gli altri preferirebbero trasferirsi all’estero (26%), anticipare il pensionamento (19%), lavorare in una struttura privata (14%) o dedicarsi alla libera professione (13%).

«Drammatica la situazione soprattutto in Veneto e nella montagna bellunese dove già adesso mancano medici di base e guardie mediche» sottolinea il deputato bellunese Dario Bond. «A pagare il prezzo più alto sono i cittadini, che vedono venir meno un servizio essenziale e il diritto alla sanità pubblica». 

Tra i motivi di insoddisfazione dei professionisti della sanità pare esserci soprattutto l’organizzazione del lavoro all’interno del sistema sanitario nazionale, oltre all’eccesso di burocrazia che occupa gran parte del lavoro dei medici di base. Da qui la proposta di Bond: «È necessario mettere mano al problema, prima che diventi insostenibile. Bisogna ridare dignità alla professione medica, lavorando non solo sulle retribuzioni e sullo sgravio di compiti amministrativi, ma anche e soprattutto investendo sulla formazione, per formare nuovi medici appassionati e volenterosi. Poi bisogna ascoltare le necessità dei professionisti della sanità, provati dopo due anni di emergenza sanitaria. Il ritorno alla normalità non deve trasformarsi nell’implosione della sanità, ma nell’occasione giusta per analizzare cosa non funziona».

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