Lei è una studentessa universitaria. Ma non a tempo pieno, anzi: in facoltà, alla Ca’ Foscari di Venezia, si reca solo per sostenere gli esami. Perché, pur essendo bellunese, la sua quotidianità non si sviluppa in Veneto. E nemmeno in Italia: si sviluppa a Reading, a una settantina di chilometri di distanza da Londra.
Tuttavia, nell’Inghilterra della Brexit, non sono tempi vellutati per gli italiani. Figuriamoci per chi arriva dalla “regione del contagio”: l’eco del Coronavirus, infatti, è arrivato pure alla corte della Regina. A volte con toni distorti. Solo che a pagarne le conseguenze è anche chi mette il sacrificio e la buona volontà davanti a tutto. Come una ragazza originaria di Ponte nelle Alpi, che lavora nel Regno Unito per pagarsi gli studi e, nel frattempo, perfeziona la lingua inglese.
La studentessa pontalpina fa la cameriera in un ristorante italiano. Peccato, però, che dal 18 al 25 febbraio abbia trascorso un periodo in famiglia, in quel Veneto coinvolto dal Coronavirus. E il datore si è visto costretto a prendere delle misure precauzionali, anche a causa dell’ansia trasmessa dai media: per 14 giorni, niente servizio al ristorante. «Capisco la situazione – racconta -; nel campo della ristorazione, si è a stretto contatto col cibo e col personale. E questo virtus è più aggressivo di una normale influenza. Ciò che non capisco, semmai, sono quei comportamenti esagerati, come se il virus fosse la peste bubbonica. Stiamo assistendo a una sorta di isteria generale, di ossessione per una fine del mondo ormai imminente». Le mascherine vanno a ruba pure Oltremanica: «E invece sarebbe meglio lasciarle a chi ne ha davvero bisogno. Smettiamola di pensare che ci proteggano».
Alcuni vedono gli italiani con un pizzico di sospetto in più: «La paura e la fobia – prosegue – si fomentano attraverso le fake news. Ma in questo modo si sta rovinando l’immagine del nostro Paese all’estero. E senza un motivo realmente plausibile. Non intendo generalizzare, però la gente ha paura di ciò che legge o ascolta. E si sente a disagio». Gli aspetti positivi, comunque, non mancano: «I servizi e l’Nhs (National Health Service: è il sistema sanitario nazionale in vigore nel Regno Unito, ndr) stanno svolgendo un ottimo lavoro. Danno informazioni adeguate ed evitano il dilagare del panico».
Quel panico che la giovane pontalpina intende smorzare con una sola “arma”: lo studio.