Nella selva dei codici Ateco, qualcuno fa il furbo. I sindacati denunciano. E scrivono. Destinataria della lettera è la prefetta di Belluno: per Cgil, Cisl e Uil, dovrebbe essere proprio l’inquilina di Palazzo dei Rettori a ricordare agli imprenditori che il momento è difficile e non è il caso di speculare sulla salute dei lavoratori e della collettività.
«La classificazione tra aziende secondo codici Ateco non permette di cogliere lo spirito dell’iniziativa del Governo, quella cioè di sospendere le attività produttive e commerciali a eccezione di quelle “essenziali” – premettono i segretari bellunesi di Cgil, Cisl e Uil -. Oggi purtroppo assistiamo all’applicazione del decreto non secondo la vera necessità del Paese, di evitare il propagarsi del contagio del coronavirus». In che senso? Lo spiegano bene i tre mittenti della lettera. Con una denuncia vera e propria di situazioni scorrette e quanto mai pericolose.
«Riconosciamo in gran parte del mondo produttivo una consapevolezza della gravità del momento. Ma allo stesso tempo vediamo la scelta di alcune aziende che si stanno nascondendo dietro il tecnicismo del codice Ateco, noncuranti delle forti preoccupazioni dei lavoratori nel subire o diffondere un possibile contagio. Non nascondiamo il dubbio che talune di queste scelte siano dettate da logiche di mercato, anche quando gli stessi potenziali clienti hanno scelto di chiudere l’attività».
Senza giri di parole, il riferimento è all’occhialeria. Che da Dpcm può tenere aperto, visto che rientra nel codice Ateco dei prodotti medicali e farmaceutici. La domanda è: quanta produzione di occhialeria è medicale e quanta è invece pura e semplice moda? «Registriamo atteggiamenti analoghi anche in aziende del settore della gomma-plastica, come anche nel metalmeccanico – dicono Cgil, Cisl e Uil -. Aggravate in qualche caso dalla non chiara osservanza delle disposizioni Spisal».
Da qui, la richiesta: «La prefetta si rivolga al mondo imprenditoriale, per richiamare a interpretare concretamente il fondamento prioritario del Dpcm del 22 marzo, quello di sospendere le attività produttive e commerciali per evitare il diffondersi del contagio. Chiediamo un intervento di sensibilizzazione per trovare anche in provincia di Belluno una interpretazione omogenea, senza differenziazioni estreme».