«Andrà tutto bene? Non credo: non andrà tutto bene. Ma dobbiamo impegnarci a imparare qualcosa dalla situazione che stiamo vivendo». Non è cinismo: è realismo, come la scienza vuole e pretende. È una fotografia della realtà attuale, con il tentativo di vedere cosa succederà poi, a emergenza finita. Anche se non è facile, nemmeno per un sociologo. «Perché siamo di fronte alla prima pandemia davvero globale» dice Diego Cason, fine osservatore della realtà e della società che la abita. «Si tratta di un mutamento della realtà esterna che cambia anche il nostro modo di starci dentro. Quindi ha ragione chi dice che nulla sarà più come prima. Ma è un concetto banale: è sempre stato così, per ogni tipo di evento. A maggior ragione lo sarà per un evento di questo impatto».
L’impatto a livello sanitario è palese. Ma cosa sta facendo il coronavirus sulla società?
«Lo vedremo più avanti. Ma fin da ora possiamo e dobbiamo renderci conto di una cosa, che uno degli sviluppi basilari della nostra epoca, quello del globalismo e della rapidità di movimento è la causa stessa della pandemia. Il virus viaggia con le persone, quindi la possibilità di viaggiare in tutto il mondo e di coprire distanze enormi in poco tempo ha fatto sì che il virus si diffondesse rapidamente. Le due nozioni di Einstein di spazio e tempo, ridottissime nella nostra epoca, sono un invito a nozze per il virus. La scienza adesso sembra mostrarsi debole di fronte al contagio, ma è la nostra unica risorsa utile».
E il cambiamento della società?
«Sarà solo superficiale perché l’essere umano è abitudinario. E questo ci esporrà a nuovi rischi. Pensare di andare ovunque solo perché abbiamo la disponibilità economica per farlo, significa non aver capito l’entità del problema attuale. Se Phileas Fogg (il protagonista del fortunato libro di Jules Verne, ndr) fa il giro del mondo in 80 giorni, non è un problema. Se lo fanno 2 miliardi di persone contemporaneamente, invece diventa un problema».
Quindi cosa cambierà?
«Gli aspetti pratici ed economici. Questi cambieranno obtorto collo il nostro approccio. Ci saranno imprese che non usciranno facilmente dal virus. Quelle più fragili rischiano di lasciarci le penne. Perché non si parla di una moratoria sui debiti internazionali? Se tu blocchi tutto, devi bloccare anche debiti e crediti. Altrimenti non funziona. Cambierà quindi la percezione delle istituzioni nazionali ed europee. Io capisco lo slogan “andrà tutto bene”: è necessario a livello psicologico. Ma lo si dice di solito a uno che dopo cinque minuti muore. Capisco la funzione, posso persino condividerla, ma è un inganno crudele. Non andrà tutto bene. Perderemo molti anziani, che per certe famiglie costituiscono un appoggio economico notevole, oltre che affettivo. Perderemo per strada molti posti di lavoro. Ci saranno gravi problemi e non basteranno strumenti finanziari e monetari. Anche questo è un problema inedito».
Ma non può valere il principio che chi esce prima dalla crisi pedala prima?
«Sì, certo: chi si rimette in moto per primo ha un vantaggio. Ma temo che non saremo noi quelli. Perché abbiamo un ostacolo che si chiama democrazia. Un bene supremo che però in questi casi tira indietro. Rinunciarci? No mai, ma rendiamoci conto che è un ostacolo. I cinesi fanno e poi decidono. Noi prima decidiamo. E poi forse facciamo».
E Belluno?
«A Belluno poi c’è anche il problema demografico. E poi bisognerà capire se il turismo ripartirà subito. Per un anno almeno bisogna mettersela via. Qui serve un’altra riflessione: non è più pensabile fare turismo di massa come prima. Serve un turismo più umano, capace di produrre reddito e meno consumo. Questo ci impone un cambiamento di ritmi. Per questo mi auguro che le Olimpiadi 2026 le facciano su Marte, l’unico posto esente da contagio».
Intanto il coronavirus sta cambiando l’approccio tra vicini di casa, paesani, condomini… tutti pronti a condannare e controllare gli spostamenti altrui.
«Un classico delle epidemie. È un fenomeno studiatissimo. Nel momento in cui l’autorità da cui dipende la tua sicurezza riacquista il potere che la democrazia si dà da fare per contenere e ridurre, tutti si schierano con l’autorità. Godere di riflesso di questa autorità distribuisce un minimo di sicurezza».
Una sorta di circolo vizioso?
«Poter godere un pochino dell’autorità e poterla esercitare mediante denuncia e sdegno è un atteggiamento tipico. Ed è pericolosissimo. È il frutto della balorda idea di stare a casa. Ma a casa non si è al sicuro di per sé. Si è al sicuro se si limita il contatto con i propri simili. I posti più pericolosi sono gli ospedali, i supermercati, le fermate dei mezzi pubblici, dove la gente sta vicina».
Ma bisogna evitare i contatti per contenere il contagio.
«Giustissimo. Evitare i contatti, il più possibile».
E quindi il blocco e lo stare a casa…
«Non ci sono alternative, è vero. Ma non abbiamo strumenti per imporre questo blocco. Al momento lo stiamo accettando. Ma è pericoloso, perché potrebbe scoppiare da un momento all’altro. La legge perde di rilevanza se esagera. Cosa dobbiamo fare? Bisogna parlarsi. Serve una elaborazione collettiva. Solo parlando dei fantasmi e delle paure si può ricondurre a qualcosa di umano questa cosa terribile che stiamo vivendo. È importante tenere aperti i rapporti e le relazioni. Adesso dobbiamo metterle da parte, ma la relazione è quello che dà senso alla nostra esistenza».