La scuola a distanza funziona e tiene i ragazzi al passo. Ma è democratica?

La scuola a distanza funziona e tiene i ragazzi al passo. Ma è democratica?

 

L’aula manca come l’aria. Eppure, anche la didattica a distanza può “guadagnare punti”. È utile per certi aspetti. «Ma non va bene per i più piccoli, lo vedo sui miei figli». Due punti di vista diversi, quello dell’insegnante e quello della madre. Una visuale perfetta da cui guardare la scuola in questi giorni di quarantena.

La visuale è quella di Alessandra Gasperin, docente di lettere alle scuole medie Nievo di Belluno, madre di tre figli (il più grande è alle superiori, la più piccola in prima elementare, la figlia “di mezzo” è alle medie). E insegnante “armata” di computer e tanta buona volontà. È questo l’equipaggiamento con cui la ministra Azzolina ha mandato in avanscoperta maestri e prof.

«La didattica a distanza? Ci si prova, ma manca l’aula, quell’ambiente che predispone all’apprendimento» dice la professoressa Gasperin. Non che le stanze di casa, la cucina, il salotto, non siano buone per fare scuola. Il problema è che ognuno è nella sua di stanza, con gli strumenti che ha a disposizione. Eccolo il grande problema della scuola a distanza: non è democratica. L’aula sì, più o meno. Ma se a casa non c’è il computer? E il collegamento a internet? 

«Faccio videolezione perché così riesco a tenere un rapporto quotidiano con i ragazzi, quasi come se fossimo prima del blocco. Quasi sempre di pomeriggio, perché molti hanno un solo pc per famiglia, e magari due o tre figli in età scolare. Per cui mi collego con i miei alunni solitamente dalle 4 alle 6 – spiega Alessandra Gasperin -. Alle Nievo ci siamo attivati subito dopo le vacanze di carnevale, quando ancora non si sapeva quanto sarebbe durata la quarantena. Abbiamo chiesto ai genitori l’autorizzazione e sabato 29 febbraio eravamo già operativi. Fortunatamente ho una classe dove c’è grande collaborazione con i genitori». 

Le classi delle medie Nievo utilizzano G Suite, una piattaforma di Google. «Possiamo fare videolezioni, caricare compiti, file, avere il controllo sulla riconsegna dei materiali da parte dei ragazzi: è un ottimo strumento – continua Alessandra Gasperin -. Con la funzione di Hangouts Meet abbiamo fatto anche un collegio docenti. Con la stessa modalità faremo i consigli di classe e le riunioni di dipartimento».

Insomma, è come essere a scuola. I programmi vanno avanti. I ragazzi stanno al passo… «Non è semplice però – dice la professoressa Gasperin -. Bisogna dare un ritmo diverso alla didattica. Quotidianamente preparo la lezione, carico dei pdf; ho registrato anche alcuni audio e sto facendo delle “puntate” su Carlo Magno che carico su YouTube. È un impegno gravoso. E poi bisogna sempre essere sul computer, anche perché non siamo così esperti. Registrare la propria voce mentre si parla crea un certo imbarazzo. Per fortuna ho un bel gruppo di colleghi con cui ci si confronta. Stiamo lavorando e ci siamo messi in gioco in tutti i sensi. E ci si scambia i materiali».

Qualcosa di buono, insomma, c’è. «Di sicuro: certi vantaggi di questo tipo di didattica ci sono e torneranno utili anche dopo l’emergenza – assicura Alessandra Gasperin -. A settembre comunque utilizzerò ancora la piattaforma per condividere file e pezzi di lezione. Penso ai testi scritti, all’invio di materiale… così mettiamo a frutto anche le competenze digitali. Svantaggi? Manca la routine della scuola e l’ambiente d’aula. La ripetitività, direi quasi la ritualità della scuola, che diventa uno strumento di apprendimento. Lo vedo sulla mia figlia più piccola: fa la prima elementare e sta dimenticando parte di quanto aveva appreso nei primi mesi di scuola. Quest’anno ormai è quasi perso, ma l’anno prossimo riuscirà a recuperare? La domanda me la faccio».

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