Non tutto è oro quel che luccica: il Bellunese perde 2 milioni di presenze in 20 anni

Non tutto è oro quel che luccica: il Bellunese perde 2 milioni di presenze in 20 anni

Chi l’ha detto che il turismo cresce? A guardare i numeri non è affatto così: il business delle vacanze non decolla in provincia di Belluno. Le Dolomiti patrimonio dell’umanità richiamano gente, anche dall’estero. Ma evidentemente non basta. Perché un conto è far arrivare qualcuno, tutt’altra storia è che poi il turista rimanga. Su questo punto il Bellunese si mostra in netta difficoltà. E i conti sono presto fatti: negli ultimi vent’anni sono state perse per strada quasi 2 milioni di presenze (vale a dire 2 milioni di pernotti, con soldi annessi e connessi). 

IL DATO

I numeri del 2019 sono ancora parziali; difficili da commentare. Inequivocabili invece quelli del recente passato. Che parlano di arrivi in aumento, ma di presenze in netto calo. Peccato che a costituire il business siano proprio le presenze. Un esempio. 2018: 996.997 arrivi, 3.703.328 presenze. 2008, dieci anni prima: 824.306 arrivi, 4.543.074 presenze. In pratica, negli ultimi dieci anni gli arrivi sono cresciuti del 21%, ma le presenze sono crollate: -18,5%. Altro dato, 1998, ben prima della grande crisi: 781.324 arrivi, 5.413.289 presenze. Significa che a ridosso degli anni Duemila, prima del riconoscimento Unesco, il Bellunese era in grado di sfiorare i 5 milioni e mezzo di presenze turistiche. Oggi, invece, non si avvicina neppure ai 4 milioni. Il confronto è impietoso: +28% gli arrivi in vent’anni, -33% le presenze. 

VACANZA PIÙ CORTA

La domanda è spontanea: come mai? La risposta è necessariamente articolata. Ma passa per una strettoia inevitabile, quella della ricettività. Oggi le strutture alberghiere della provincia faticano a reggere il confronto con quelle di Trento e Bolzano. Non era così vent’anni fa. Solo che, negli ultimi quattro lustri, i vicini autonomi hanno investito, gli albergatori bellunesi (non tutti, certo) si sono cullati sugli allori. E oggi gli allori sono avvizziti.
In più, c’è un altro dato (che però potrebbe essere ribaltato con strutture ricettive moderne, centri benessere e offerta turistica al passo con i tempi): la vacanza si accorcia. Oggi non supera mediamente i 4 giorni, mentre arrivava a una settimana intera alla fine degli anni Novanta. 

GLI STRANIERI NON BASTANO

Inequivocabile il dato della durata media della permanenza, che rimane differente tra italiani e stranieri. Nel 1998 uno straniero si fermava circa 4-5 giorni tra le Dolomiti, mentre i turisti “nostrani” arrivavano alla classica settimana. Oggi il turista straniero ha una media di permanenza di 3,2 giorni, mentre gli italiani arrivano a 4,1. Cosa significa? Che ha poca importanza se il mercato turistico bellunese vede aumentare gli stranieri. Perché, in ogni caso, la vacanza più corta pesa non poco sul conto delle presenze. 
Poi c’è un ultimo aspetto interessante. È vero, gli stranieri che passano per le Dolomiti bellunesi sono in crescita. Ma quanto? Costituivano il 20% degli arrivi nel 1998, adesso arrivano al 41,5%. Quanto alle presenze, quelle straniere rappresentavano il 12% vent’anni fa, mentre il dato 2018 parla del 36%. La morale? Il mercato di riferimento rimane quello interno. Ma finché non passa del tutto la crisi e le famiglie non tornano a fare la classica settimana di ferie in montagna, il business turistico del Bellunese è destinato a rimanere fermo al palo. A meno che non ci siano investimenti tali da far segnare un cambio di rotta.

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