Toni Tormen, una vita nel pallone: «I miei 47 anni di calcio»

Toni Tormen, una vita nel pallone: «I miei 47 anni di calcio»

 

Era il 1973, quando un giovane mediano, con grinta da vendere, temperamento e personalità, si affacciava nel calcio “dei grandi”: in prima squadra.

Da allora, non si è mai fermato. Mai, neppure per una stagione. Ha solo cambiato veste: prima calciatore, poi allenatore. Ora direttore sportivo all’Union Feltre. Quella di Antonio Tormen è davvero una vita nel pallone: «E l’entusiasmo è lo stesso di quando avevo 18 anni – afferma -. Ora ne ho 65, ma mi sento ancora un ragazzino». 

Chi era il Tormen calciatore? 

«Uno per il quale il calcio era passione, divertimento. E non un lavoro». 

E il Tormen allenatore?

«Sei responsabile di 20 ragazzi e di un intero staff, tutto è molto più pesante. A cominciare dalla sconfitta: da calciatore la vivi male, da tecnico peggio. La componente legata allo stress è maggiore». 

Ora il ruolo di dirigente. 

«Sono ds ormai da 12 anni, eppure sembra ieri. Vivo la partita, sento la responsabilità. Ma mi diverto come un tempo». 

Qual è il compagno più forte con cui ha condiviso lo spogliatoio? 

«Giancarlo Antognoni. Lo guardavo e mi chiedevo, “ma come fa a essere così bravo?”». 

E quello affrontato da avversario? 

«Potrà sembrare strano, però l’unico a cui non sono mai riuscito a prendere le misure è Gianfranco Matteoli (il regista dell’Inter dei record di Trapattoni, ndr)».

Il migliore mai allenato? 

«Andrea Intrabartolo, al Belluno. Dire che durante la settimana non dava il 110 per cento era quasi un eufemismo. Ma per lui non chiudevo solo un occhio: li chiudevo entrambi. E a volte pure le orecchie. Perché sapevo che, la domenica, mi faceva vincere le partite».   

A livello dirigenziale, l’acquisto che ha più alimentato il suo orgoglio? 

«Ce ne sono tanti. Senza presunzione, ma mi basta una gara per capire le caratteristiche tecniche e morali di un atleta. E se non lo vedo di persona? Mi baso sulle analisi di coloro che, questo calciatore, lo ha allenato: ovvero, i miei vecchi compagni di squadra. Di conseguenza, so che posso fidarmi: così ho una panoramica completa, che abbraccia tutta l’Italia». 

E il colpo che avrebbe voluto portare a termine, ma non le è riuscito? 

«Ne cito uno che, invece, ho appena centrato: Matteo Malagò. Lo inseguivo da anni e finalmente è dalla mia parte». 

Oggi si rivede in qualcuno? 

«In De Carli. Io forse ero più strutturato, ma Francesco ha la mia stessa grinta: è un motorino, non molla mai. Sì, uno come lui potrebbe raggiungere il professionismo». 

Chiudiamo con l’attualità: la sua Union Feltre è costruita per un campionato di vertice? 

«Sulla carta è una buona squadra, ma sono buone pure le altre. Il Trento, per esempio, è fuori categoria. E sono molto competitive anche Clodiense, Cjarlins, Adriese. Obiettivo? Rimanere nel gruppetto delle migliori 5 o 6. E davanti alle altre 2 bellunesi: sarebbe ipocrita affermare il contrario». 

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