«Io, prigioniera in un labirinto di violenza: così mi sono liberata del mio carnefice»

«Io, prigioniera in un labirinto di violenza: così mi sono liberata del mio carnefice»

 

Si presentava come un principe azzurro: raffinato, sensibile, protettivo. Ma la sua natura è emersa dopo poche settimane di relazione: la natura di un uomo violento. Di un mostro con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue, che bombardava la sua donna – o meglio, la sua vittima – di messaggi, la sequestrava in macchina di notte, la teneva prigioniera pure a distanza. E alzava le mani. Quella donna ha avuto la forza di denunciare. E ora, il coraggio di raccontare.

È originaria dell’Alpago e adesso che respira a pieni polmoni l’aria della libertà, può permettersi un “lusso” che, fino a qualche giorno fa, non le era concesso: vivere. «Tutto è nato da una richiesta di amicizia su Facebook – racconta la ragazza -. Era una persona che abitava in provincia, con i miei stessi interessi. Dopo uno scambio di messaggi, siamo usciti a cena». 

È l’inizio della messinscena: «Mi lodava, mi riempiva di attenzioni». Fino a quando emergono i primi segnali inquietanti: «Aveva cambi di umore improvvisi e inspiegabili, mentre un giorno ha sostenuto di avere dei dubbi sulla nostra relazione. E su di me». I messaggi diventano proiettili: «Se non li leggevo subito, li cancellava e mi accusava. Era un’infinita rincorsa per riuscire a rispondere in tempo o sarebbe scattata la sua collera. Facevo qualsiasi cosa con il cellulare vicino: perfino la doccia e le pulizie. Orchestrava tesi assurde, mi soggiogava, facendomi credere che il mio pensiero fosse sbagliato. Col tempo, mi ha costretto a eliminare i contatti dalla rubrica». La donna entra a tutti gli effetti in un labirinto: «Continuava a tendere dei tranelli per addossarmi la colpa e punirmi. Non avevo più un minuto per me. E non dormivo: ero stremata».

Non basta, perché il periodo più duro coincide con il lockdown: «In casa controllava tutto ciò che era mio. Tutto: dalle lettere alle fotografie, passando per i referti medici. Ha scoperto ogni sfumatura del mio passato. Compresi i punti deboli. E su quelli agiva per tenermi in pugno».

Dalla violenza psicologica si passa a quella fisica: «Mi afferrava per il braccio, lasciandomi dei lividi. E mi prendeva per i capelli. Senza considerare i pugni e altre forme di sopraffazione. Come quando mi ha sequestrato in auto fino alle 3 del mattino. Ero così in trappola da pensare che l’unico posto in cui potevo stare al sicuro fosse l’ospedale. Desideravo essere ricoverata per liberarmi e respirare». A quel punto, scatta la scintilla: «Capivo di non avere più via d’uscita. Così ho contattato il 1522, il numero anti violenza e stalking. E mi sono confrontata con un’operatrice».

Ma la vera svolta arriva quasi per caso: «Un giorno ha perso le staffe e mi ha aggredita in un luogo pubblico, di fronte a dei testimoni. I quali hanno chiamato i Carabinieri. E da lì si è innescato il meccanismo che ha portato alla mia libertà».

La donna aveva allontanato perfino la sua famiglia d’origine. E le amicizie: «È necessario denunciare e poter contare su una rete amicale e di professionisti. In queste situazioni, la vittima si trova sola: per questo è importante che chi sta al di fuori della relazione e vede una violenza, non faccia finta di niente. Il carnefice va fermato o la vittima, ormai indebolita, impaurita e isolata, non ce la farà mai. Nel mio caso, il Nucleo investigativo per la violenza di genere, legato all’Arma dei Carabinieri di Belluno, è stato fondamentale. Quegli angeli mi hanno aiutata nel concreto e con la giusta sensibilità. Allo stesso tempo, il tessuto sociale in cui vivo non mi ha abbandonato alle grinfie di quell’uomo: chi ha visto, non ha esitato a chiamare aiuto al posto mio. E le amiche, anche se distanti, hanno capito il pericolo. Alla lunga, tutti insieme, costruendo una vera e propria rete, mi hanno salvata». 

Per invertire la rotta è fondamentale agire alla radice: «Nelle scuole, tra i bambini e gli adolescenti, fermando i comportamenti dettatati dalla prepotenza che, col tempo, potrebbero prendere una deriva pericolosa».
Ma ora il minotauro è sconfitto.
La donna, al pari di Teseo, ha ritrovato il suo filo d’Arianna.
Ed è fuori dal labirinto.
Libera.
Finalmente libera. 

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