Ieri, di primo mattino, ha deciso di prendere la sua asina, sbranata dal lupo. E di portarla in una delle zone più trafficate dell’Alpago: la rotatoria di Farra. Adagiata a pochi passi dalla strada, la carcassa dell’animale ha suscitato un fiume di reazioni e sensazioni.
Una protesta scioccante. Orchestrata e messa in pratica da Nico Casagrande, titolare di un’azienda agricola e gestore di Malga Mezzomiglio. «Il motivo del mio gesto? Sono stufo di dipendere dai giudizi e dalle opinioni di chi non fa il mestiere di allevatore. E siccome le parole volano nel vento, allora ho voluto portare la carcassa in paese, affinché più gente possibile condividesse l’amaro sapore di questi eventi. Vedesse la morte. E ne sentisse l’odore».
Lunedì, Casagrande ha subìto una predazione: «Tre asini morti e uno moribondo». Tuttavia, è garantito un indennizzo per gli animali abbattuti: «Sì, gli indennizzi sono validi, il problema però non si ferma all’aspetto economico. Qui non si riesce più a lavorare con serenità, siamo attanagliati dall’ansia di convivere col predatore».
Chiudere asini e pecore nei recinti è un’ipotesi impraticabile: «Il 60, 70 per cento dei nostri animali – prosegue l’allevatore – mangia di notte. Non certo durante il giorno, con questo sole e questo caldo. È un paradosso: noi, che viviamo in montagna da generazioni, cerchiamo in ogni modo di trovare un colloquio con la natura. Eppure siamo additati come provocatori da coloro che guardano film o fiction e sono inseriti in una realtà urbana, dove tutto è costruito a misura d’uomo».
La passione non è sufficiente: «L’obiettivo è fare reddito – prosegue Casagrande – altrimenti come posso mantenermi? Sia chiaro: tra noi allevatori nessuno vuole l’estinzione del lupo. Solo che il predatore non può essere re-introdotto con tale facilità e superficialità in un ambiente di questo tipo. Siamo nel 2020, non nell’Ottocento, quando bastava portare le bestie al pascolo. Ora, per ottenere un guadagno, è necessario produrre formaggio, salumi. E farsi carico di un peso burocratico soffocante. Sarei contento di fare solamente il pastore, ma al giorno d’oggi non me lo posso permettere». E conclude: «La vita montagna è appesa a un filo molto sottile. E questo filo si chiama zootecnia. Se noi abbandoniamo il territorio, la montagna è destinata a morire».