Regresso inesorabile: i ghiacciai delle Dolomiti stanno morendo

Regresso inesorabile: i ghiacciai delle Dolomiti stanno morendo

Non ci sono più i ghiacciai di una volta. Non è una frase fatta. Più che altro, non ci sono più i ghiacciai. Le nevi perenni stanno scomparendo. Anche sulle Dolomiti. È un dato di fatto. E indietro non si torna. Lo confermano numerosi studi scientifici, che hanno messo in evidenza la sensibilità dei piccoli ghiacciai con le variazioni climatiche. Peraltro tutti i gruppi glaciali alpini, a partire dalla fine della cosiddetta “Piccola età glaciale” (1850 circa) sono in fase di regresso, con un’accelerazione del trend nel XX secolo irreversibile e drammatica.

Per rendere la misura dell’arretramento dei ghiacciai e nevai dolomitici, basta guardare i dati di Arpav, che da anni porta avanti campagne di rilievi glaciologici (anche con particolare attenzione agli effetti dei cambiamenti climatici, in relazione all’aumento delle temperature). Dati che parlano di vecchi ghiacciai trasformati in ghiaccioli o poco più. Sgocciolanti, per giunta. 

 

I DATI

Per i ghiacciai delle Dolomiti esistono dati confrontabili fin dal 1910 (campagna Marinelli). L’ultimo monitoraggio disponibile risale al 2014 (campagna eseguita da Arpav) che ha portato al censimento di 75 apparati. Di questi, solo una decina sono stati considerati come campione valido per il confronto; in ogni caso, si tratta della quasi totalità dell’area glacializzata.

Il dato analizzato da Arpav è allarmante: la variazione dell’estensione dal 1910 al 2014 è stata, mediamente, di -45,9% con un’evidente accelerazione della fase di regresso a partire dagli anni Ottanta. Infatti, mentre la variazione areale dal 1910 al 1980 (70 anni) è stata di -27,3%, dal 1980 al 2014 (34 anni) è stata di -25,7%. La relativa stabilizzazione del dato fra il rilievo del 1999 e quello del 2014 è imputabile principalmente agli effetti positivi di alcune stagioni invernali particolarmente nevose (2000-2001, 2003-2004, 2008-2009 e 2013-2014).

 

IL DETTAGLIO

Il ghiacciaio più martoriato è quello della Marmolada. Si estendeva per 420 ettari nel 1910, mentre già nei primi anni Sessanta (monitoraggio CGI, Comitato Glaciologico Italiano, 1959-1962) non superava i 364 ettari. La campagna Arpav del 2004 ha misurato un’estensione di appena 214,7 ettari, mentre quella del 2009 contava 196,3 ettari. Il monitoraggio di cinque anni fa, conseguente a un inverno particolarmente valido sotto il profilo della neve, diceva 213 ettari. In ogni caso, la metà rispetto alla superficie di ghiaccio del 1910.

Ancora peggiore la situazione del nevaio delle Pale di San Martino. Nel 1910 misurava 121 ettari, nel 2014 non supera i 45 (ma la misurazione precedente, del 2009, arrivava ad appena 34,4 ettari). Tradotto: -62% in poco più di un secolo.

Ma il record in negativo spetta al ghiacciaio del Sella. Che era mini già nel 1910 e che oggi è micro. Praticamente scomparso. La storia dell’ultimo secolo parla chiaro: 14 ettari nel 1910, 6 ettari all’inizio degli anni Sessanta, 2,8 ettari nel 2004 e appena 1 ettaro nel monitoraggio del 2009.

Quasi scomparsi anche il ghiacciaio del Civetta (da 17 a 10 ettari nell’arco di un secolo) e delle Tofane (da 18 a 10 ettari). Resistono stoicamente, vere e proprie linee di trincea contro l’innalzamento delle temperature, Antelao e Sorapis (oltre 70 ettari nel 1910, poco più di 50 ettari al 2014). Mentre il trend di scongelamento è praticamente segnato per Cristallo (36,7 ettari nel 2014, contro i quasi 70 di un secolo fa), Marmarole (-43%, dai 57 ettari del 1910 agli appena 32 del 2014), Pelmo (da 30 ettari a 20 in un secolo) e Popera (-23%, da 28 a 21 ettari).

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