«Abbiamo smesso di essere montanari». Ecco perché Bolzano vince

«Abbiamo smesso di essere montanari». Ecco perché Bolzano vince

Bolzano apre, Belluno attende. Non c’è solo concorrenza. E non è neppure questione di autonomia.

«È un problema, se così vogliamo dire, di montagna. Noi siamo dilettanti della montagna, gli altoatesini invece sono dei veri e propri professionisti». Parola di Giuliano Dal Mas, uno che di verticalità, roccia Dolomia e vita montana se ne intende. Socio accademico Gism (Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), alpinista, ottima penna e sguardo che sa andare in profondità.

A proposito di profondità, com’è che viviamo ancora la rivalità con Bolzano?

«Spesso i bellunesi vengono contrapposti ai loro vicini bolzanini, con i quali hanno condiviso nel tempo antico diverse parti di storia. Spesso ci si chiede come i bolzanini siano sopravvissuti meglio all’arrivo del modernismo. E non raramente la risposta è che loro, i soldi, attraverso la Regione a Statuto Speciale, ce li hanno, mentre noi siamo i parenti poveri, dimenticati, poco considerati, della Regione Veneto».

Non è così?

«In queste asserzioni c’è una parte di verità. Ma solo una parte».

In che senso?

«Dobbiamo innanzitutto capire alcuni temi fondamentali. La montagna esiste ancora? Se sì, come esiste? E soprattutto, esiste il montanaro?».

Domande a cui si può rispondere che…

«La montagna con i suoi rilievi, le sue forme, le sue quote, persino con i suoi problemi esiste ancora. Ma è purtroppo il montanaro a non esistere più. Almeno qui da noi. Per montanaro noi intendiamo colui che vive la montagna e la conosce dal di dentro. Oggi noi siamo dei dilettanti nella conoscenza della montagna, siamo divenuti di fatto – tutti o quasi – dei cittadini. Noi non viviamo realmente la montagna: siamo solo degli occasionali abitatori della montagna». 

La montagna però esiste, e non è affatto diventata cittadina. Anzi…

«Esatto: la montagna non smette di essere montagna né in alto con le sue cime, né in basso nei suoi fondovalli, ma si spinge ben oltre, portando con sé tanti dei suoi problemi. Basti pensare a Venezia e alla laguna, al precario sistema in cui vive: un ecosistema assai complesso e fragile legato alle maree e all’interramento che proviene proprio da monte, e che i veneziani – la Serenissima – erano riusciti a padroneggiare con intelligenza e saggezza in passato, ma che ora è loro sfuggito di mano. Del Magistrato alle Acque è rimasto solo il nome. Un ente burocratico. Noi frequentiamo la montagna perché la montagna ci piace. Ci andiamo quasi settimanalmente. Ma quel rapporto diretto, continuo, tra chi abitava la montagna e la montagna stessa, non esiste più».

E quindi che si fa?

«Vogliamo anche domandarci quanti di noi siano autentici bellunesi? Belluno vive di importazione ed esportazione di anime. Quando penso ai bolzanini o sudtirolesi come amano definirsi, non penso a una loro superiorità, a una loro maggiore intelligenza, o al fatto che hanno più soldi. Piuttosto penso alle loro diverse scelte compiute e difese nel passato, in base a una diversa cultura affidata in particolare al “Maso Chiuso”. In questo modo sono riusciti a mantenere la loro gente sul loro territorio. Discutibile quanto si vuole, persino ingiusto, il “Maso Chiuso” si è rivelato però una scelta vincente con effetti positivi. Così i sudtirolesi hanno salvato la loro cultura anche attraverso una chiusura agli altri».

Noi non siamo stati altrettanto bravi?

«Gli amministratori altoatesini generalmente conoscono meglio il territorio che controllano, proprio per un modo di viverlo migliore e per avere ereditato l’esperienza dei padri. Da noi l’amministratore è spesso persona che non ha conoscenza e amore per il territorio in cui vive. Noi stessi che siamo nati sul territorio e che amiamo la montagna, l’ambiente, per quanto ne conosciamo le cime, la geografia, lo facciamo più da cultori del bello, o come sportivi, o turisti.  Ma ciò non basta. A Bolzano il senso di comunità e di appartenenza rimane ancora vivo, mentre qui a Belluno questo senso è difficile da cogliere. Quindi resto dell’idea che noi siamo solo degli occasionali abitatori del nostro territorio».

Dove e quando abbiamo smesso di essere montanari?

«Talvolta mi viene da pensare come negli anni ’70 il Bellunese intendesse risolvere i problemi del territorio. Una risposta ci veniva data attraverso la cementificazione, la costruzione di villaggi turistici, di seconde case. Molte di quelle case giacciono oggi ormai abbandonate, in attesa di un acquirente che non arriverà mai. Ma l’esempio più eclatante ci viene da quel villaggio mai realizzato fortunatamente e progettato a pochi metri dalla cima del Serva. Oggi sorridiamo di fronte a questa ipotesi di pura follia. Eppure nel nostro archivio conserviamo tuttora alcuni disegni del progetto. L’uomo allora aveva preso a volare troppo alto credendosi persino Dio. Forse noi siamo i figli di quegli angeli scacciati dal Paradiso e ci scordiamo di quanto è successo in quei tempi lontani».

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