È uno dei martiri cristiani più antichi. A Belluno, però, è soprattutto il nome di una località. Talmente importante, nei secoli che furono, da aver dato il nome all’intera zona di cui era punto di riferimento. San Felice, la cui festa si celebra oggi (14 gennaio), un tempo indicava tutta la zona di Trichiana. Ed era un porto, proprio così.
Non che a Trichiana ci fosse il mare (bisognerebbe scomodare ere geologiche). C’era – e c’è tuttora – il Piave. Con molta più acqua di quella che resta oggi dopo i prelievi idroelettrici a monte. E proprio nella località di San Felice sorgeva un porto. Quello era un crocevia importantissimo. Non solo perché si trova in un punto in cui il fiume è facilmente attraversabile. Ma anche perché di là passava la via più breve di collegamento tra Venezia e la Germania (praticamente un segmento della via Innsbruck-Bressanone-Valparola-Andraz-Agordo-Sedico-Praderadego). E per passare il Piave c’era un servizio di traghetto con barche spinte da pertiche; ne resta memoria anche in una descrizione della metà del Cinquecento di Pierio Valeriano.
Sono diverse le testimonianze del porto di San Felice. E molte ricordano la presenza di una chiesetta, dove ancora oggi sorge un edificio religioso che dà nome alla frazione. Anzi, San Felice era patrono dell’intero villaggio ed è rimasto anche oggi il protettore di Trichiana.
La storia del vescovo di Nola è ricca di aneddoti leggendari. Durante le persecuzioni dei cristiani, infatti, venne dato in pasto ai leoni. Ma gli animali, tra lo stupore dei persecutori, indietreggiarono davanti a lui. Allora fu gettato in una fornace di carboni ardenti, ma anche allora riuscì a liberarsi per l’intervento di un angelo. L’arrivo del suo culto a Trichiana (anzi, in località San Felice) non è leggenda. È storia e toponomastica.