Lettera a Santiago (per scrivere una canzone bisogna andare in Australia)

Lettera a Santiago (per scrivere una canzone bisogna andare in Australia)

Caro Santiago, 

ti scrivo queste righe, mi hai chiesto come si scrive una canzone, ti sei iscritto al musicale, e un po’ è colpa mia. Ma neanche tanto: tuo bisnonno Nilo suonava la fisarmonica e te sei anche di Napoli, dove dopo il sole viene la musica. 

Allora, Santiago, cos’è, scrivere una canzone?

È scrivere qualcosa nell’aria. Un giorno canterai qualcosa, e un attimo dopo ti accorgerai che quella cosa non esiste, e la stai inventando tu. Che poi, non è del tutto vero: quella canzone esiste già, forse non in quell’ordine esatto di note, ma di fatto non ci è permesso scrivere più di qualche battuta senza incappare in qualcosa che esiste già. Ci sono più cose nella fantasia o nella vita? In tutte e due, ma niente in una parte sola. Così, quando un professore di filosofia ti chiederà se esistono gli elefanti rosa, tu rispondi che, nel dubbio, diresti di sì. Il libro di cui più si parla, in questi tempi difficili, riguarda un cigno nero: una cosa che non esisteva, finchè qualcuno non andò in Australia. Lì era pieno, di cigni neri. Bastava andare in Australia, era semplice, ma tutti preferivano pensare che esistessero solo cigni bianchi. 

Per scrivere una canzone bisogna andare in Australia. Mettersi in viaggio, insomma, col proprio bagaglio, e facendo bene i conti, perché non sappiamo per quanto le nostre risorse ci terranno all’asciutto e con un piatto caldo. Ma è così anche nella vita, no? Allora tanto vale andare fin là. E aprire gli occhi, e guardare quello che sentiamo. Hai capito giusto: guardare quello che sentiamo. Solo lì ci è permesso, nella fantasia: dare un nome alle cose più grandi di noi. 

Ecco: sul tuo foglietto spiegazzato (usa quello, e una penna: diffida di tutta questa tecnologia, basta un tasto per cancellare quello che hai fatto), tu sei partito da poche parole: “voglio vedere i canguri”, se leggo bene, quella è una gi. 

È davvero così? È una cosa che vuoi tu, o è il fatto che sei in Australia, che ti rimanda ai canguri? Ok, è una cosa che vuoi tu. Non ne hai mai visto uno. Il tuo sguardo abbraccia allora lo spazio davanti a te, ed eccolo, un canguro, che cosa vuoi che faccia? Salta, e nel marsupio ha qualcosa, un altro canguro. Tu scrivi, guarda e scrivi ancora qualche frase, mettici una rima. Ossignore, con canguro? Sicuro!

La frase si è disposta su più righe, spesso sono quattro, e c’è come già una musica — è una cosa primordiale, questa, delle quartine, non ci interessa adesso, andiamo avanti — . Ah, non scrivere la prima cosa che ti passa in testa: scrivi la prima cosa che vedi. Bon. “Oggi ho visto un canguro / nel giallo e la sabbia / nel fuoco di sera / pareva sicuro.” Benissimo. Sai perché hai scritto “giallo”? Io credo perché, adesso, al tramonto, sia il canguro che il deserto sembrano color oro. E che siamo al tramonto lo dici dopo, il fuoco di sera. Ma lui è sicuro. Come mai? Perché tu sei partito da “Voglio vedere i canguri”, non “Vorrei vedere i canguri”. Sicuro? Sicuro. 

Abbiamo la prima strofa. La seconda strofa sarà più o meno come questa, cambieremo qualche virgola, faremo dei giochi con le parole, non diremo più granchè, perché la cosa importante, importante davvero, sarà adesso il ritornello. Dove non basterà guardare il canguro che salta. 

Per il ritornello, dobbiamo adesso, con la mente, fare finta di essere a Belluno. Cosa succede adesso, a Belluno? Dove sei? Pensaci su. Piove? Eh sì, piove. E tu? Sei senza ombrello. E? Salti le pozzanghere. Bellissimo, allora il ritornello sarà un tramonto con la pioggia, e te che salti le pozzanghere. Anche un po’ di arcobaleno? 

“Anche un po’ di arcobaleno, grazie zio”. 

 

di Antonio Fiabane, autore, paroliere, musicista

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