Un secolo e mezzo fa si votava. E Belluno veniva divisa in due: da una parte Regno d’Italia, dall’altra Impero austroungarico. Cortina, Livinallongo e Colle Santa Lucia asburgiche. San Vito di Cadore terra di confine. La nuova geografia uscita dai trattati di Praga e di Vienna del 1866 doveva passare per il plebiscito, con urne convocate il 21 e 22 ottobre.
Sono le vicende che seguono la terza guerra di indipendenza e che segneranno il territorio dolomitico fino allo scoppio della Grande guerra. E forse, lo segnano tuttora, viste le spinte referendarie di alcuni Comuni, e soprattutto le pretese altoatesine (soprattutto su Cortina) mai del tutto sopite. Ma questa è un’altra storia.
La storia delle vicende dell’epoca rientra invece nello scacchiere della guerra austro-prussiana. E per l’Italia ha protagonisti illustri. Su tutti, Giuseppe Garibaldi, l’unico a riportare qualche successo, con i suoi “cacciatori delle Alpi”, dopo le sconfitte italiane a Custoza e sull’isola di Lissa. L’avanzata delle truppe garibaldine arrivò fino a Trento, ma poi fu la diplomazia internazionale a risolvere la questione: ritiro delle truppe italiane dal Trentino e passaggio del Veneto (più Mantova e Udine) alla Francia, che poi girerà i territori ex asburgici al Regno d’Italia. Tutto nel giro di pochi giorni. Fino al 21 e 22, quando toccò ai cittadini veneti e bellunesi decidere con plebiscito se essere italiani oppure no.
Il risultato fu schiacciante: oltre il 99% di «sì». E fu schiacciante in tutti i territori del Veneto. In provincia di Belluno, però, la percentuale austriaca (i «no» al passaggio al Regno d’Italia) fu la più bassa in assoluto: 37.636 voti favorevoli, 2 soltanto contrari (e 5 voti nulli).
Cortina, Colle e Livinallongo rimasero fuori: Austria. Tant’è vero che ancora oggi, tra San Vito e Cortina corre il vecchio confine. Il nome della località Dogana vecchia dice tutto.