“Io sono l’altro”: la relazione con l’opposto per scoprire chi siamo

“Io sono l’altro”: la relazione con l’opposto per scoprire chi siamo

 

“Io sono l’altro” di Nicolò Fabi non è solo la canzone vincitrice del premio “Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty”. È anche il consiglio della cantante Jessica Da Re per arricchire la nostra playlist. E riflettere. 

 

Io sono l’altro, sono quello che spaventa. 

Mi soffermo su questa frase per lanciare una riflessione su quanto sta accadendo in questo periodo. Quando Tahar Ben Jelloun cerca di spiegare alla figlia che non si nasce razzisti e che è spesso la paura a stimolarne la nascita, ci costringe a riflettere sulla nostra responsabilità individuale e collettiva. 

Quante volte ci siamo lasciati prendere dalla paura? Ogni giorno siamo tenuti a combattere contro una sensazione che limita la nostra libertà e quella degli altri.

Io sono l’altro puoi trovarmi nello specchio, il contrario di te stesso…

È nel relazionarci con il nostro opposto che scopriamo veramente chi siamo.

È nel nostro quotidiano che gioviamo del lavoro di chi è lontano, di chi non conosciamo, di chi a volte detestiamo senza nessuna logica ragione.

Il nostro è un mondo di relazioni, di interconnessioni reciproche, ognuno agisce spinto dal desiderio di sopravvivenza. Ognuno di noi è l’altro che spaventa, dipende solo dai panni che indossiamo nel momento in cui incontriamo l’altro.

È nostro compito ricordare che ogni opposizione o scelta che non si comprende nasce da una verità che non può essere giudicata, ma solo considerata.

Conoscere e praticare i punti di vista degli altri è una grammatica esistenziale, come riuscire a indossare i loro vestiti, perché sono stati o saranno i nostri in un altro tempo della vita.

Martin Luther King ne “Il sogno della non violenza” scriveva: «Tutti gli uomini sono dipendenti gli uni dagli altri. […] Siamo eterni debitori di uomini e donne conosciuti e sconosciuti. Quando ci alziamo al mattino, andiamo in bagno e afferriamo una spugna che ci è stata fornita da un abitante delle isole del Pacifico. Afferriamo un sapone creato per noi da un europeo. Poi, a tavola, beviamo un caffè che ci è stato fornito da un sudamericano, oppure tè, da un cinese, o cacao, da un africano occidentale. Prima di uscire e andare a lavorare dobbiamo già essere riconoscenti a più di metà del mondo».

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