«La massa tumorale è enorme e non operabile». Ma a Feltre lo salvano

«La massa tumorale è enorme e non operabile». Ma a Feltre lo salvano

 

Non è una novella per allietare le festività e tantomeno un miracolo natalizio. È una storia che affonda le sue radici nella realtà. La storia di un uomo albanese con una neoplasia di oltre 20 centimetri di diametro: gigantesca, quindi. E rara, al punto da impedirgli il regolare respiro. Tanto che in Albania viene giudicato «non operabile». Sembra una sentenza senza appello, ma qui torniamo alla storia di partenza. E all’ingresso di altri protagonisti: i dottori Umberto Montin, a capo del reparto di Chirurgia, e Mauro Dal Soler. A cambiare è pure l’ambientazione: non più il Paese della penisola balcanica, ma l’ospedale Santa Maria del Prato di Feltre. Dove l’impossibile diventa possibile. 

LUMINARI
«L’uomo ha fratelli e sorelle da anni integrati nella comunità feltrina – spiegano dal nosocomio – e si presenta nel nostro ambulatorio, mostrando l’enorme massa tumorale che lo affliggeva da alcuni mesi». Massa che modifica addirittura il normale profilo fisico, con una sofferenza accentuata dal fatto che, parte del tumore, coinvolge le costole. E, di conseguenza, ostacola la respirazione. Solo dei luminari possono trattare una neoplasia di dimensioni così cospicue: «La nostra perplessità – spiega il dottor Montin, direttore del dipartimento di area chirurgica – non veniva tanto dalla fase demolitiva, cioè l’asportazione della massa e degli organi muscolari coinvolti, ma dalla necessità di ricostruire la parete toracica, addominale e dal tratto diaframmatico che così venivano a essere mancanti. In nostro aiuto è arrivata la tecnologia, con la disponibilità di una protesi innovativa: uno “scaffold” in gergo, cioè una impalcatura senza cellule, ottenuta dall’ingegneria biologica dalla cotenna di maiale. Oltre a dare una consistenza meccanica, garantisce un terreno di crescita per le cellule umane del paziente che, in seguito, andranno a colonizzare l’impalcatura, permettendo una completa guarigione». 

PROTESI
Ma la protesi ha un limite: «Affinché sia performante, deve essere completamente coperta e non lasciata esposta. Abbiamo utilizzato quindi la nostra esperienza e le tecniche di chirurgia plastica nella ricostruzione, dopo interventi demolitivi nei tumori mammari». A Montin spetta la prima fase dell’intervento: «Ho asportato la massa neoplastica delle dimensioni di un pallone da calcio, assieme alle ultime tre costole toraciche di destra e a una porzione di diaframma e di parete addominale. Questo ha lasciato esposto un polmone, assieme al fegato e all’intestino: una vera voragine». A quel punto si utilizza l’innovativa protesi di 20×15 centimetri che, una volta fissata al perimetro della voragine, viene ricoperta: «Ho provveduto a peduncolizzare il muscolo gran dorsale (un muscolo della schiena: viene staccato dalle proprie inserzioni mantenendo la propria vascolarizzazione) e ribaltato per coprire l’intera protesi – sono le parole del chirurgo Mauro Dal Soler -. Poi i lembi di cute sono stati suturati sopra il muscolo ricostruito. E questo ha restituito al paziente una normale conformazione e funzione muscolare».
L’uomo di origine albanese trascorre una notte in terapia intensiva. E, a distanza di sette giorni, è dimesso con un decorso regolare: «Il lavoro di squadra ha coinvolto molteplici professionalità e competenze – sostiene Montin -. Solo grazie alla discussione multiprofessionale, alla sinergia data dalle molteplici esperienze e dalla capacità di lavorare in gruppo, siamo riusciti a gestire e trovare la soluzione». 

MISSIONE
Immancabile il pensiero di ringraziamento del paziente: «Grazie perché trattate la professione al pari di una vera missione. In Italia avete una sanità all’avanguardia, fatta di professionisti di alto livello: dovete esserne orgogliosi». «Queste parole – conclude Dal Soler – ci restituiscono l’umanità e il senso profondo di ciò che facciamo. E fanno capire quanto sia importante la nostra sanità».

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