Passano gli anni, cambiano le dinamiche, ma si continua a morire sul lavoro. Oggi come ieri. Lo ha ricordato l’Associazione Bellunesi nel Mondo, nel 64° anniversario di Marcinelle, con la tradizionale cerimonia nel giardino davanti alla sede di via Cavour.
Sessantaquattro anni fa (8 agosto 1956) un incendio in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier (a Marcinelle, in Belgio) provocò un disastro che segnò per sempre la storia dell’emigrazione italiana: 262 vittime, provenienti da 12 diversi paesi, di cui 136 italiani. Tra questi un bellunese: Dino Della Vecchia. La tragedia, con il suo dolore, permise tuttavia di far luce sulle deplorevoli condizioni di lavoro nelle miniere, contribuendo finalmente all’introduzione delle maschere antigas. Lo ha ricordato ieri il presidente dell’Abm, Oscar De Bona. Che ha messo in evidenza come anche ai giorni nostri si continui a morire nel lavoro: il suo ricordo è andato al personale sanitario che in questi mesi ha avuto numerose vittime a causa del coronavirus. Ma il sacrificio degli italiani all’estero è stato ricordato anche dall’assessore comunale di Belluno, Marco Perale: «Stiamo parlando di una giornata e di un ricordo che è corale. La provincia di Belluno è stata una delle realtà territoriali che ha più pagato il secolare pedaggio dell’emigrazione italiana nel mondo e lo ha pagato con il sangue di troppi caduti».
Ogni anno l’Associazione Bellunesi nel Mondo, in occasione della tragedia di Marcinelle, porta una testimonianza diretta di un bellunese emigrante o ex emigrante. In questo 64° anniversario la parola è stata data a Sergio Cugnach, figlio di emigranti in Belgio, che ha proposto una serie di riflessioni di carattere storico non solo su quanto accaduto a Marcinelle, ma sull’intero fenomeno che ha portato in Belgio decine di migliaia di italiani a estrarre il carbone, con le conseguenze tristemente conosciute.