Il Covid-19 manda in quarantena le persone. Non le patologie, né i disturbi. Anzi, in un periodo di forti costrizioni come quello attuale, la gestione di determinate problematiche è ancor più complessa. E oggi, che è la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, la domanda sgorga spontanea: come ci si rapporta a questo disturbo, ai tempi del Coronavirus?
Lo abbiamo chiesto a due giovani professioniste bellunesi: Elena Collazuol, terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, e Ilaria Pianon, educatrice professionale. «È necessario aumentare lo sforzo, l’impegno e la capacità di ascoltare i bisogni dei bambini e delle famiglie – affermano -. Stiamo seguendo una, due o anche tre volte a settimana diversi bambini con diagnosi di spettro autistico, dai 2 anni agli 11 anni, attraverso videotelefonate, video-messaggi, mail e filmati con le sedute per “guidare” le mamme e i papà».
Quali sono i vostri obiettivi?
«Vogliamo strutturare al meglio la routine e organizzare la giornata, ma anche ridurre alcuni comportamenti problematici, che si sono accentuati o verificati negli ultimi giorni per la fatica dettata da un cambio totale di abitudini. È importante poi gestire le problematiche del sonno e dell’alimentazione. E proseguire il lavoro sul piano riabilitativo, curando la comunicazione (anche quella non verbale), l’imitazione, il gioco, il linguaggio, i prerequisiti per la scuola primaria, le abilità grafo-motorie e motorie, la gestione delle emozioni e del pensiero. E l’attenzione».
Il ruolo delle famiglie in una fase così delicata?
«Fondamentale. Grazie al lavoro, all’impegno e alla competenza dei genitori, i bambini trovano un equilibrio. E raggiungono addirittura nuovi traguardi. Sì, perché siamo sempre più convinte che si debba passare da un intervento di competenza a un intervento competente. In passato, le mamme e i papà ci hanno osservato nelle sale di terapia, collaborando attivamente. E ora i risultati si toccano con mano. Insomma, è un lavoro di squadra in cui sono coinvolti pure gli insegnanti di sostegno».
I limiti più evidenti della terapia a distanza?
«Premessa doverosa: le famiglie ci trasmettono serenità e le ringraziamo perché avere la loro fiducia ci fa appassionare ancor di più alla nostra professione. Ma sentiamo la mancanza dei contatti fisici, degli sguardi, dei sorrisi e del gioco con i nostri bambini».
Nel complesso, cosa può insegnare un simile periodo?
«Conferma che noi giovani professionisti possiamo essere d’aiuto anche per i nostri maestri e colleghi. Quei colleghi che ci hanno trasmesso l’importanza del contatto diretto. Ma che forse, dopo tanti anni, mai avrebbero pensato di lavorare con i propri pazienti davanti a un pc. E invece si può fare. Anzi, si deve fare. Non possiamo rimanere in silenzio perché parlare ed esserci, ora come ora, è ancor più importante. Soprattutto in relazione alle famiglie, per le quali il virus rappresenta un ulteriore sovraccarico. Per i nostri piccoli pazienti con autismo, inoltre, interrompere la routine, togliere le opportunità sociali (su cui da anni stiamo investendo molto) e non poter uscire è estremamente faticoso. Come professionisti dobbiamo esserci, facendo lo sforzo di non pensare che solo il contatto diretto sia una buona terapia. Il nostro lavoro è fatto di relazione: una relazione per adesso diversa, ma presente. E consapevole che nulla sarà come prima».