Il coronavirus può far crescere la scuola. «Computer e tecnologia aiutano»

Il coronavirus può far crescere la scuola. «Computer e tecnologia aiutano»

E se il coronavirus facesse crescere la scuola italiana? Non è una domanda provocatoria. Del resto, è parere diffuso che dopo una grande febbre bambini e ragazzi acquistino qualche centimetro in altezza. Per il sistema scolastico non sarebbe questione di centimetri; semmai di consapevolezza. «A patto che si comprenda che la didattica a distanza non deve essere messa in contrapposizione alla didattica in aula, in presenza». Parola di Paola Celentin, esperta nella formazione dei docenti di lingue, sia in Italia che all’estero, in presenza e online (insegna didattica delle lingue all’Università di Verona e collabora con l’Università di Venezia per la formazione a distanza degli insegnanti di lingue; da qualche tempo, collabora con Elicom, un progetto dell’Università di Parma e di Erickson).

Questo sarebbe un periodo d’oro per la didattica a distanza. Con le scuole chiuse, gli insegnanti sono chiamati a lezioni Skype, all’invio di materiali via mail… Come sta andando? «A macchia di leopardo» risponde senza dubbio la professoressa Celentin. «Nel senso che ci sono realtà in cui la chiusura forzata è stata digerita senza particolari problemi e altre in cui faticano a partire i sistemi a distanza. Diciamo che le Università erano più preparate ad affrontare la cosa: gli strumenti c’erano tutti; magari non tutti gli insegnanti erano pronti a utilizzarli, ma il supporto informatico c’era già. Per le scuole è diverso, perché per la maggior parte non erano attrezzate».

E quindi ci sono scuole che sono partite quasi subito con le lezioni a distanza e altre che alla terza settimana di emergenza faticano ancora a organizzarsi.

«In mezzo ci sono scuole che si stanno adattando un po’ alla volta. Spesso dipende dalla buona volontà dei singoli».

Eppure sono anni che si parla di digitalizzazione della scuola, di nuove tecnologie, di nuovi metodi…

«Sì. Personalmente è dal ‘99 che faccio formazione online per insegnanti. All’epoca ci collegavamo ancora con il modem. Era la preistoria. Sono passati 20 anni».

Dove è andata a finire questa formazione? 

«Nel nostro Paese, finché non c’è emergenza, non si fa il passo ulteriore».

Anche adesso, però, con l’emergenza in corso, sembrano esserci diversi ostacoli. E non solo quelli di dotazione infrastrutturale. C’è un articolo di Enrico Galliano pubblicato su illibraio.it qualche giorno fa che sostiene senza giri di parole come non si possa insegnare a distanza. 

«Questo deriva forse dalla nostra tradizione umanistica, per cui pare che il computer in qualche modo rovini la formazione. Mi confrontavo pochi giorni fa con alcuni insegnanti che sostenevano che non ci sarà mai niente e nessuno in grado di superare la lezione in presenza. Ma attenzione: non è una dicotomia. E le due modalità di didattica non vanno messe in contrapposizione. La lezione in presenza ha virtù innegabili, ma ne ha anche la lezione a distanza. Semplicemente le due modalità vanno messe in interscambio. C’è una parte relazionale ed emotiva, che ovviamente si coglie solo nella lezione in presenza. Però ci sono altri elementi che rendono merito alla didattica a distanza. Faccio un esempio per quanto riguarda le lingue straniere: se propongo un esercizio per migliorare la produzione orale, posso farlo una volta sola in classe. A distanza, invece, cos’è meglio di un video registrato che può essere ripetuto decine e decine di volte?».

C’è però il problema delle valutazioni nella didattica a distanza. Verifiche, interrogazioni…

«Come spesso accade, viene fuori la crepa metodologica. Finché si pensa che valutare significa verificare una conoscenza, la distanza non funziona, perché l’allievo può barare. Ma se si agisce sul piano delle competenze, allora è diverso. Bisogna cambiare un po’ la prospettiva. Fare lezione a distanza non significa mettersi davanti a una webcam e spiegare come in classe. La didattica a distanza passa attraverso molte altre cose. Significa organizzarsi in maniera differente, riuscire a creare uno spirito critico negli allievi. Questo deve essere il ruolo del nostro insegnamento».

E tutta la parte emotivo-romantica della scuola?

«Quella alla “capitano mio capitano”? Non è un approccio metodologico serio da professionisti della formazione. Non so se ci basterà il coronavirus per fare il salto di qualità. Di certo, in questo momento si è data un’accelerata importante a un meccanismo che altrimenti, forse, sarebbe rimasto fermo».

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