“Come si cambia, per non morire” cantava Fiorella Mannoia. Come si cambia, lo dicono i ragazzi della Consulta Giovani Cadore, una realtà appena nata, ma con le idee più che chiare, cristalline: «Pochi progetti, ma ben fatti e portati avanti fino alla fine». Parola di Mattia Baldovin, il coordinatore di questo gruppo di giovani volenterosi, decisi a cambiare le cose nella montagna che sta morendo di inedia, di spopolamento. «Soprattutto di immobilismo. Sono cinquant’anni che non si fa niente. Adesso basta: dobbiamo dare una prospettiva ai giovani. Per farli rimanere. Oppure per invogliarli a tornare dopo che se ne sono andati».
In che modo?
«Abbiamo stilato una tabella con alcune priorità. Due i punti fondamentali: fare formazione e programmare. Io provato a proporre progetti qui; nessuno mi ha ascoltato nel 2009. Poi sono andato via a lavorare e sono tornato da Padova due mesi fa. Adesso voglio riprovarci, assieme a un gruppo che è davvero eccezionale.».
Entriamo nei dettagli. Cosa proponete?
«Abbiamo stilato una tabella con la creazione di alcuni laboratori di formazione su agricoltura, turismo, comunicazione e marketing. Questi potrebbero essere i punti di partenza per avvicinare i giovani e metterli nelle condizioni di aprirsi prospettive locali. Poi a nostro avviso bisognerebbe creare un centro studi che metta insieme tutte le amministrazioni locali e serva da catalizzatore di progetti, per intercettare i fondi europei e regionali. Lo hanno già fatto in altre realtà, perché non riproporlo a Belluno?».
Bella domanda…
«Il problema è che in questo territorio siamo fermi da decenni. Lo vediamo anche a livello infrastrutturale».
Argomento complesso.
«Sono convinto che il nodo sia proprio qui. Il tema infrastrutture è fondamentale per il Bellunese. La chiave è ragionare in maniera diversa. Secondo me i tempi sono maturi».
Perché?
«Perché abbiamo cominciato a contattare le associazioni bellunesi e i diversi gruppi. Dobbiamo fare rete e stiamo vedendo che la condivisione su certi argomenti è ampia. Servono pochi progetti, ma ben fatti».